Heidegger: Esperienza Politica
HEIDEGGER: ESPERIENZA POLITICA
Per riflettere un modo adeguato sull’esperienza politica su Heidegger è necessario considerare la situazione politico ed economica della Germania negli anni ‘18/’30.
Come è noto, alla fine della guerra, in Germania il potere venne assunto dal partito allora più potente: la socialdemocrazia tedesca.
A partire dall’inizio del novembre 1918 in Germania si sviluppò un forte movimento rivoluzionario: il 5 novembre 1918 a Kiel si costituì il consiglio dei soldati (consigli degli operai e dei soldati si erano già costituiti nel corso del mese di ottobre su tutto il territorio ottobre su tutto il territorio tedesco, erano organizzati secondo il modello dei soviet della rivoluzione russa). L’8 ottobre a Monaco viene proclamata la Repubblica della Baviera, il 9 novembre l’imperatore Guglielmo II è costretto ad abdicare di fronte agli sconvolgimenti che scuotono la Germania.
Lo stesso giorno in cui l’imperatore abdica, il dirigente socialdemocratico Friedrich Ebert assume, provvisoriamente, la carica di cancelliere e Philipp Scheidemann, poche ore dopo, annunzia la nascita della “Repubblica tedesca”; contemporaneamente Karl Liebknecht proclama la costituzione della “Repubblica socialista”.
Liebknecht, Rosa Luxemburg e 146 spartachisti furono uccisi in quanto considerati nemici della Germania e ad altri dirigenti che si erano staccati dal partito socialdemocratico nel gennaio 1917 avevano fondato il movimento (partito) spartachista che si contrappone nettamente alla socialdemocrazia: gli spartachisti ritengono, infatti, che si debba “accelerare” il processo rivoluzionario per abbattere il capitalismo considerato responsabile della guerra ed ormai in preda ad una crisi irreversibile, mentre i socialdemocratici ritengono che sia indispensabile consolidare la Repubblica appena costituita e creare organismi democratici.
A Berlino nel gennaio vi erano stati disordini culminati il 5-6 gennaio nell’occupazione del centro di Berlino. Occorre sottolineare che, contemporaneamente, in Russia è in pieno sviluppo la rivoluzione bolscevica (le forze bolsceviche avevano assaltato il Palazzo d’Inverno il 7-8 novembre 1917 ponendo fine all’esperienza socialdemocratica del governo Kerenski ed il 18 gennaio 1919 Lenin sciolse l’Assemblea costituente eletta a suffragio universale il 29.11.1917 dove la maggioranza dei deputati era costituita dai socialisti rivoluzionari che avevano ottenuto il 60% dei suffragi, mentre i bolscevichi avevano ottenuto il 25%, il resto liberali e menscevichi).
Le forze socialdemocratiche tedesche erano nettamente contrarie alla creazione in Germania di uno Stato socialista simile a quello sovietico. Secondo la linea politica teorizzata da Bernstein, i socialdemocratici erano favorevoli ad una politica di tipo riformista che ponesse le basi di uno Stato liberal-democratico come testimoniano le riforme proposte non appena assunsero il potere: libertà d’associazione e di riunione; libertà di pensiero e di culto; la giornata lavorativa di otto ore, il diritto di voto alle donne.
Il governo, superata la crisi dell’inverno ‘18/’19, dovette fronteggiare l’opposizione delle forze conservatrici e di quelle reazionarie che avevano il loro punto di riferimento tra le alte cariche militari, la finanza, la grande industria ed una pesante crisi interna che traeva alimento dalle clausole vessatorie del trattato di Versailles (lo stesso Leibkmecht, alla fine del novembre 1917 aveva sottolineato l’effetto disastroso che le clausole dell’armistizio avevano provocato sulla popolazione); comunque dopo il 1925 grazie al varo del piano Dawes (stabilizzazione monetaria) ed al successivo piano Yama per la riduzione delle ripartizioni (il cui rimborso fu sospeso nel ‘32) ed all’avanzamento di una politica di distensione dopo il trattato di Locarno, la Repubblica di Weimar sembrò consolidarsi malgrado gli attacchi, sia da parte delle forze conservatrici e reazionarie che di quelle dell’estrema sinistra (in merito pare opportuno sottolineare che esponenti socialdemocratici come Ebert, Scheidemann, Noske, furono accusati di “tradimento di classe” da parte delle forze comuniste) e sembrò che riuscisse a costituire una “certa coesione” della società tedesca. La devastante crisi economica del 1929 scosse dalle fondamenta lo Stato tedesco: si diffuse la convinzione che, ormai, il sistema capitalistico fosse entrato in “agonia” e che la sua “fine” fosse prossima.
Il Partito comunista tedesco sostiene che fosse necessario creare la “Repubblica sovietica della Germania”. Ma, come lucidamente scrive Simone Weil nei saggi composti nel 1932/33 il partito comunista è “completamente governato dalla burocrazia di Stato russa” per cui soffre “della vertigine che colpisce ogni burocrate posto davanti alla necessità di agire”.
Delineato il quadro politico della Germania, consideriamo se l’adesione al nazismo da parte di Heidegger, possa essere considerata o meno un episodio marginale nella vita del filosofo e quali furono le motivazioni di tale adesione.
E’ opportuno pensare, innanzitutto, che prima del 1933, non risulta che Heidegger abbia partecipato alla vita politica tedesca, né abbia manifestato pubblicamente la sua visione politica prima di essere eletto rettore dell’Università di Friburgo. Sappiamo solo che negli anni ’20 manifestò simpatia per il movimento dei “resistenti” tedeschi al trattato di Versailles ed inviato lettere a Elisabeth Blochmann nell’estate del 1918 (alcune scritte mentre si trovava sul fronte occidentale e dove prestava servizio militare); il filoso esprime profonda preoccupazione per “interiore disorientamento della gioventù accademica” e per la “confusione presente nelle proposte programmatiche di riforma e nelle teorie sull’“Essenza dell’Università”, ma anche fiducia nella gioventù universitaria e nella possibilità di una “rinascita dell’essenza dello spirito tedesco” ed auspica che “gli uomini veramente spirituali” siano in grado di “afferrare risolutamente il timore e di educare il popolo alla verità ed alla stima autentica degli autentici valori dell’esserci”.
Negli anni successivi Heidegger dedicò esclusivamente alla ricerca lavorando prima con Hassel e conducendo indagini sulla mistica medievale, su Kant e su Aristotele; successivamente, dal 23 al 27 fu docente a Marburgo dove tiene corsi su Platone, Aristotele, Kant, Hegel, Cartesio e si dedicò alla stesura delle sue opere più note: “Essere e tempo” (pubblicato nel maggio del 1927).
Comunque la crisi che attraversa l’Università tedesca, continua a costituire motivo di riflessione per Heidegger come possiamo desumere dalla prolusione. Che cos’è la metafisica pronunziata il 29 luglio 1929 all’Università di Friburgo, nella quale Heidegger sostiene che l’Università non è più un “focolare vivente” ma solo “un’organizzazione tecnica” che tiene insieme una “ moltitudine di discipline tra loro disparate; e dalla corrispondenza con E. Blochmann. Si segnala in merito la lettera del 20 settembre 1920 nella quale il pensatore sostiene che: “ i casuali tentativi di riforma delle Università, che adesso riprendono più irrequieto, porteranno solo la confusione ancora più alla luce del sole” e prende un concetto già sostenuto nella prolusione: uno dei più gravi errori del XX secolo può essere individuato nel convincimento che la scienza costituisce una “ possibilità essenziale dell’esistenza, nel suo complesso” e ritiene che non il popolo e le stirpi debbano ritrovare “la strada delle proprie origini e delle proprie energie”.
Altri indizi interessanti che possono aiutare a comprendere la “visione politica” di Heidegger possiamo individuarli nel suo “Essere e Tempo”; nel paragrafo 74 il filosofo, affrontando il tema del fondamento ontologico della storia, sostiene che “L’esserci, carico di destino” in quanto “Essere nel mondo” esiste essenzialmente come “con-essere con gli altri”, il “storicizzarsi è un con-storicizzarsi che si determina come destino-comune”. Con questo termine noi intendiamo lo storicizzarsi della comunità, del popolo. Il destino comune non è la somma dei singoli destini allo stesso modo che l’essere-assieme non può venir concepito come una semplice addizione di singoli soggetti. Nell’essere in un medesimo mondo e nella decisione per determinate possibilità, i destini sono già delineati. Nella comunicazione e nella lotta la forza del destino comune si rende libera. Il destino-comune, carico di destino individuale, che lega l’Esserci nella sua “generazione” e con la sua “generazione esprime l’autentico storicizzarsi dell’Esserci”. Il “con-esserci” costituisce per il come: “modo di essere proprio dell’ente che viene incontro dentro il mondo. L’Essere in quanto in generale è, ha il modo di essere dell’essere -assieme. Questo non può venir concepito come il risultato sommativo della presenza di più soggetti”.
In queste pagine di Essere e Tempo possiamo cogliere utili motivi circa il concetto di popolo che, per Heidegger, non è costituito solo da una “somma di individui”, ma implica la storia. Non si può parlare di popolo, cioè se non in senso storico, quindi si appartiene ad un popolo in quanto si condivide con gli altri la sorte comune, e si costituisce con gli altri un “corpo unitario” che ha a fondamento il senso di una “comune appartenenza”. Un popolo, quindi, per “esistere” deve possedere delle “radici storiche”.
Il “radicamento” (enracinement) di un popolo si fonda sulla sua stessa storia; ciò non significa semplicemente “conservare” tal quale il passato, ma “custodire” in sé il passato e contestualmente, restituirgli nuova linfa vitale.
Come sostiene S. Weil “il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana”; infatti l’essere umano partecipando in modo attivo all’esistenza di una collettività che “conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro” ha radici stabili; l’essere umano ha bisogno di “radici” multiple: morali, intellettuali e spirituali che possono costituirsi solo nella misura in cui ogni comunità possegga una “propria anima”.
In momenti successivi Heidegger tornò a riflettere su questo tema; si segnalano in particolare due scritti: l’interpretazione della lirica di Hölderlin “Arrivo a casa” e lo scritto l’“Abbandono”.
Nel discorso pronunciato il 6 giugno 1943 nell’Aula Magna dell’Università di Friburgo per commemorare Hölderlin Nella ricorrenza del centenario della morte del poeta (discorso ripetuto sempre a Friburgo il 21.6.43 e poi pubblicato nel 1944 insieme con il discorso tenuto a Roma Hölderlin e l’essenza della poesia con il titolo “Delucidazioni alla poesia di Hölderlin”), Heidegger analizza la lirica di Hölderlin “Arrivo a casa, ai miei familiari”.
“L’arrivo a casa” non si compie nel momento in cui il poeta giunge sul “suolo della patria (questo arrivo a casa costituisce l’avvenire dell’essenza storica dei tedeschi”. La “casa” indica lo spazio che ci si apre per gli uomini quello spazio nel quale soltanto essi possono essere “a casa propria” e così nel proprio del loro destino. Questo spazio è un dono della terra intatta. Essa dispone i popoli nel loro spazio storico. La terra rasserena la “casa”. Rasserenando a tal modo la terra è il primo angelo “della casa”.
“Ma domani è un avvenire
quando andremo là fuori a mirare il campo che vive,
sotto l’albero in fiore, nei giorni di festa di primavera,
ne parlerò e spererò molto con voi, miei cari”.
L’opera creativa dell’uomo è perciò possibile solo con il “radicarsi stabile” nel proprio terreno; perché l’agire umano sia fecondo e procuri “autentica gioia e giovamento” deve radicarsi nel profondo della propria terra, come le piante che possono “fiorire nell’etere e dare i loro frutti” solo se sono radicati nella terra.
Come già accennato Heidegger non assunse alcun specifico impegno politico sino all’aprile del 1933 quando venne eletto, all’unanimità, dal senato dell’Università di Friburgo, rettore.
E’ un momento significativo nella vita politica del paese: Hitler chiamato a ricoprire la carica di cancelliere da Hindenburg nel 1933 dopo l’incendio del Reichstagg e la vittoria elettorale del 5 marzo quando il partito Nazionalsocialista ebbe il 43,9% dei voti, e ottenne dal Parlamento i pieni poteri il 21 amrzo 1933 e, quindi, il parlamento stesso è stato sospeso.
Non solo. I vescovi tedeschi riuniti a Fulda il 28 marzo 1933 hanno tolto l’interdetto che la Chiesa Cattolica aveva promulgato nel 1930 nei confronti del partito nazista ed anche la Chiesa Protestante assunse posizione a favore del regime. Gli eccessi, i disordini, le escursioni degli oppositori furono considerate dalla maggioranza dei tedeschi come un “aspetto secondario” “accessoire” dell’ascesa del nazionalsocialismo.
Hitler si era presentato ai tedeschi come l’unico uomo politico in grado di condurre la Germania fuori dalla crisi economica che minacciava di distruggerla, non solo sotto il profilo economico e politico, ma anche morale come aveva ben evidenziato Simon Weil. Secondo la Weil, le due caratteristiche di una burocrazia sono “la paura davanti all’azione decisiva e l’uso del linguaggio del comando”, Queste due caratteristiche tipiche dello Stato russo sono presenti, ormai, anche negli altri partiti comunisti, si può dire, cioè, che la “bolscevizzazione” dei partiti comunisti è ormai attuata, ma la “dittatura burocratica” che opprime la classe operaia russa “soffoca anche la rivoluzione tedesca”. La Weil, ventitreenne, soggiornò a Berlino nell’estate del 1932 e compose una serie di saggi nei quali, lucidamente, analizza la situazione politica tedesca che si suoi occhi appare paradossale: da un lato sembrano sussistere tutte le condizioni favorevoli allo scoppio di una rivoluzione, ma dall’altro, concretamente, non si scorge alcun segno persuasore della rivoluzione; la frattura tra gli operai ed i disoccupati è causa, secondo la Weil di una profonda debolezza del movimento operaio mentre gioca a favore del partito nazionalsocialista.
Non solo, “le parole d’ordine dei due partiti sono quasi identiche” : entrambi sono contro il sistema e sostengono di voler promuovere la rivoluzione. Inoltre, soprattutto i giovani operai, appoggiano il nazionalsocialismo poiché il movimento hitleriano promette un “sistema nuovo” qualcosa che non assomigli né al passato né al presente. Certo, osserva la Weil, la propaganda nazista è contraddittoria, ma gli errori del partito comunista tedesco, in particolare il fallimento dello sciopero generale del luglio ’32 hanno indebolito le forze operaie, mentre dopo il successo del ’31 luglio gli “attentati hitleriani si sono fatti più rari fino ad interrompersi”. Anche Georges Goriely nel suo scritto “Hitler prende il potere” sostiene che “il successo più significativo di Hitler, mai realizzato da una dittatura è quello di aver saputo rendere il regime accettabile all’operaio, di avergli fatto credere che certe sue speranze socialiste erano soddisfatte, realizzate.
La situazione in Germania appare complessa, confusa e fluida ed anche l’Università ne è coinvolta, in particolare studenti e professori si chiedono quale sorte potrà toccare all’università nel caso che, effettivamente il partito nazionalsocialista realizzi quella “rivoluzione anticapitalistica” destinata a “bouleverser”.
In particolare a Friburgo il rettore eletto nel dicembre 1932 Wilhelm von Möllendorf ha assunto l’incarico il 15 agosto 1933 ma cinque giorni dopo, il 20 aprile 1933 von Möllendorf riunisce in sessione straordinaria il senato dell’Università ed annunzia la sua decisione di dimettersi e propone la candidatura di Heidegger che venne eletto rettore il giorno successivo all’unanimità, meno due astenuti.
Heidegger come è attestato anche dalla corrispondenza con la Blochmann seguiva con attenzione l’evolversi della situazione politica, pur non impegnandosi ancora in prima persona, anzi come risulta da quanto scrive alla Blochmann il 12 settembre ’32, ed a Jaspers l’8 dicembre, si è ritirato nella baita in totale solitudine per dedicarsi completamente ai suoi studi. Il periodo di isolamento è interrotto solo da un breve soggiorno a Friburgo per sbrigare alcune faccende importanti della facoltà presumibilmente l’elezione del nuovo rettore.
Heidegger ritorna a Friburgo nel gennaio del ’33 a come si può arguire da una lettera a F Blochmann del 19 gennaio 1933, Heidegger sostiene che la meditazione sul mondo greco consentì di cogliere il senso della nostra “essenza”; la comprensione “dell’inizio” non è però, qualcosa di statico ma deve costituire un momento “propulsivo” per attuare un profondo mutamento nel presente.
Heidegger, cioè, è convinto che sia possibile promuovere un cambiamento profondo “rivoluzionario” dell’Università tale che l’Università possa divenire un “foyer” vivente. E’ necessari oche l’università si “riappropri” della propria essenza attingendo alla “potenza dell’inizio del nostro essere storico-spirituale” cioè alla cultura greca.
Possiamo individuare quale sia l’essenza della scienza, cioè la ricerca, l’indagine solo tornando a meditare sul mondo greco. “L’inizio è amaro” non è dentro di noi come qualcosa di ormai logoro e superato ma “ci sta di fronte davanti a noi”; l’inizio, infatti, “è iscritto nel nostro futuro”.
L’Università, pertanto, non può costituire un “corpo separato” rispetto al popolo, né essere il luogo dove il sapere di disperde in “campi e settori isolati”, ma deve costituire il “mondo spirituale di un popolo”, poiché solo un mondo spirituale è per un popolo garanzia di grandezza.
L’Università non ha il compito di addestrare i giovani ad una “professione onorata” ma deve essere capace di “dare” a se stessa leggi spirituali per poter inscrivere nell’uno e identico mondo spirituale del popolo le potenze dell’essenza che la incalzano” l’università cioè deve assumere una funzione prioritaria nel processo di bouleversement grazie al quale la Germania potrà assumere il ruolo che le spetta nel concerto del popoli.
Heidegger conduce il suo discorso con un riferimento tratto dalla Politeia di Platone:
“Tutto ciò che è grande
è nella tempesta”
o “Tutte le grandi cose sono pericolose”.
(Nel libro IV Socrate affronta il tema del governo dello Stato e delle motivazioni per cui il governo debba essere approdato ai filosofi).
Il discorso, pertanto, può essere inteso non solo come al nazismo, ma anche come espressione del convincimento di ciò che fosse necessari operare affinché non fosse il luogo dove ci si prepara all’esercizio di una professione, ma dove s’indaga circa il “fondamento” del sapere.
Heidegger sostiene che l’Università non può ricevere direttive esterne “d’ailleurs” ma deve possedere l’autonomia costituisce cioè un “focolare” del sapere; l’Università deve adempiere in (completa) totale autonomia il suo compito fondamentale: educare il popolo tedesco. L’obiettivo fondamentale dell’opera educativa consiste nel realizzare la piena uguaglianza di tutti i tedeschi, tale finalità può essere conseguita solo se tutti sono in grado di obbedire e comandare. Tale concetto viene espresso sia in apertura del discorso che nella conclusione. Dirigere non significa per Heidegger fare ciò che uno vuole, ma operare secondo un’ideale visione dello Stato e obbedire non significa operare secondo la volontà altrui, ma agire in modo consapevole e quindi implica anche il “ resistere” a chi comanda. Dirigere e ubbidire sono intimamente correlati, poiché solo in tal modo è possibile creare un’effettiva “uguaglianza politica”, e tale intrinseco rapporto deve essere attuato sia all’interno dell’università tra docenti e studenti, sia nello Stato tra chi governa il popolo (i governanti).
Tale visione esula dal quadro del liberalismo parlamentare, ma possiamo rilevare che si colloca all’interno di una visione filosofica presente nel pensiero occidentale; pertanto nel Discorso Heidegger chiama a “raccolta” studenti e docenti, perché, in comunità d’intenti, con chi governa l’Università, operino per creare le condizioni necessarie per trasformare l’Università in modo tale che costituisca il “faro” che indichi al popolo tedesco quale sia il suo destino.
Il 4 maggio Heidegger scrisse una lettera al fratello nella quale annuncia la sua adesione al Partito nazionalsocialista; siamo in un momento di grande successo per il governo; il primo maggio viene proclamato “festa nazionale del lavoro tedesco” e in questa occasione Hitler pronunziò a Berlino un discorso davanti ad una folla immensa ed il 7 maggio pronunziò un importante discorso sulla pace con il quale chiede la revisione dei trattati di Versailles perché ingiusti per il popolo tedesco0 e due giorni prima (il 3 maggio) aveva siglato con l’URSS un accordo con il quale veniva prorogato il trattato di Rapallo (il primo trattato del 1922 era stato siglato tra la Repubblica di Weimar e l’URSS e con esso si stabilivano delle relazioni privilegiate tra i due paesi sia sul piano militare che commerciale.
Da questo momento, per alcuni mesi, l’impegno politico di Heidegger diviene più intenso; certamente, come afferma nell’autodifesa scritta nel 1945 (autodifesa che rivela disagio ed amarezza). Heidegger vietò due giorni dopo la sua elezione di esporre all’interno dell’università il manifesto sulla questione ebraica, così ci oppose alle richieste politiche che “pretendevano” che fossero allontanati i professori non graditi” in particolare che fossero allontanati i decani von Mollendorf e Wolf e nomina decani chi dava garanzia di riportare lo spirito della scienza ma creare del lavoro di facoltà” e non per l’appartenenza al partito e, infine, si oppose al “rogo” dei libri organizzato dagli studenti nazisti all’interno dell’università. Ciò non impedì ad Heidegger di scrivere articoli e pronunciare nei quali si descrive un atteggiamento di favore nei confronti delle linee politiche del governo e,nello stesso tempo, il convincimento che sia gli studenti che i docenti assumessero la loro parte di responsabilità per la “nascita di una nuova Germania”.
Il 17 maggio 1933 Heidegger pronuncia (un’allocuzione) un discorso ne quale il cancelliere è definito un “grande dirigente” ed invita alla “disponibilità e alla camaradene”. Il discorso pronunciato, poco dopo che era stato trasmesso il “discorso” della pace pronunziato da Hitler a Berlino, esprime una sostanziale adesione ai principi enunciati da Hitler nel suo discorso e l’augurio che le altre nazioni accolgano favorevolmente i principi enunciati da Hitler.
Maggiormente significativo è il discorso pronunziato il 26 maggio 1933 in occasione delle celebrazioni in onore di Lei Schlageter che nel 1923 si oppose attivamente all’occupazione francese della Rühr e catturato dai francesi venne fucilato presso Dusseldorf il 26 maggio 1923.
I nazisti ne fecero un “eroe della nazione”; nel suo discorso Heidegger esalta il coraggio impavido del giovane che “senz’armi” morì davanti ai fucili francesi”.
Il 20 giugno venne pubblicato sul Giornale degli studenti di Friburgo un breve testo dal titolo “Il servizio del lavoro dell’Università”, nell’articolo Heidegger sostiene che è giusto chiedere agli studenti di andare a lavorare con gli altri giovani per poter comprendere, in tal modo, che cosa significhi il lavoro manuale. Heidegger interpreta, cioè, la proposta nazista di creare un “servizio del lavoro”, nel senso che gli studenti. Gli interventi di questo tipo si moltiplicano; Heidegger si reca presso diverse sedi universitarie per esporre il suo programma di Riforma dell’Università.
L’impegno politico di Heidegger, ma anche le sue preoccupazioni per il futuro della Germania possono essere individuate nel discorso pronunciato il 24 giugno 1932 in occasione della cerimonia del solstizio di Estate. Nel discorso Heidegger sollecitò gli studenti a riflettere sulla “durezza” del compito che li attende; devono possedere il “coraggio di spezzare (briser) l’oscurità e di affrontare (fronteggiare) la durezza (durété) che verrà”.
Il 14 ottobre Hitler annuncia che la Germania è “costretto” ad uscire dalla società delle Nazioni poiché è considerata all’interno di tale organizzazione come un membro di secondaria importanza al quale sono negati i suoi diritti per cui lo Stato tedesco è umiliato in modo intollerabile e per il 12 novembre viene organizzato un plebiscito del popolo tedesco per approvare o meno tale decisione. Heidegger sostiene le posizioni di Hitler, come si desume dai discorsi pronunziati il 3, il 10 e l’11 novembre 1933; il primo rivolto agli studenti, il secondo ai tedeschi, il terzo ai colleghi ed ai tedeschi.
Nel primo di questi discorsi si trova la nota affermazione “Il Führer è lui solo la realtà tedesca di oggi e del futuro, così come la sua legge Imperiale sempre più profondamente che ormai ogni cosa esige decisioni ed ogni azione delle responsabilità”.
Affermazione che verrà duramente rimproverata ad Heidegger dopo il 1945, e della quale, secondo alcuni, Heidegger si sarebbe “vergognato”; comunque la campagna per il plebiscito segue il momento culminante dell’impegno politico di Heidegger che prosegue per tutto l’inverno del 1933-34, Heidegger, infatti, rassegnerà le dimissioni da rettore nel febbraio 1934 considerato che, nel frattempo, i rapporti con le autorità politiche si erano incrinati (occorre pensare che in base alle nuove norme in vigore dal mese di ottobre, i rettori non venivano più eletti ma erano nominati dal Ministro competente. Heidegger era stato confermato al su opposto).
Heidegger voleva cambiare le norme interne di organizzazione dell’Università, sia per la scelta dei docenti che Heidegger aveva chiamato a far parte del Senato Accademico, alcuni dei quali come von Mollendorf e Erik Wolf erano invisi sia ad altri docenti sia elle autorità. Heidegger stesso nella sua memoria sul rettorato sottolinea come si oppose a coloro che richiedevano l’allontanamento dei docenti che non erano graditi e che si dimisi perché si era reso conto delle “insuperabili divergenze” tra la “concezione nazional-socialista dell’università” e quella che egli proponeva. Dall’aprile 1934 quando le dimissioni divennero effettive, Heidegger si dedicò esclusivamente all’attività di ricerca e d’insegnamento, già nel 1937 giudicava un “errore” l’aver accettato la nomina a rettore, poiché si era reso conto che non è più possibile un rinnovamento essenziale dell’Università come invece aveva ritenuto possibile.
Certamente possiamo riconoscere che Heidegger non si è mai piegato in modo supino alle autorità naziste e che l’adesione iniziale non avvenne per poter occupare un posto di “potere” ma perché ritenne che l’assicurazione del potere da parte del nazionalsocialismo avrebbe potuto operare una “profonda” rivo9luzione che avrebbe portato ad un “ripensamento dell’essenza storica dei tedeschi”.
In effetti, il suo discorso del rettorato in un certo senso, potrebbe essere avvicinato ai “Discorsi alla nazione tedesca”, Infatti Fichte sostiene che “nell’ora della suprema umiliazione” per la Germania occupata militarmente, sia necessario che il popolo tedesco rivendichi la sua “superiorità” spirituale ed auspica che, attraverso l’educazione sia formata una nuova generazione di tedeschi “rinnovata” sul piano morale per cui la Germania potrà costituire un “modello” ed un “esempio paradigmatico” per gli altri popoli.
Che Heidegger sia convinto, almeno nel ’33, che Hitler fosse colui che potesse garantire alla Germania di ricoprire il ruolo che le spettava nel concerto delle nazioni, può essere individuato nei discorsi pronunziati in occasione del plebiscito; in particolare nel secondo discorso rivolto ai tedeschi, nel quale il pensatore sostiene che il Führer ha deciso che la Germania uscisse dalla Società delle Nazioni non per desiderio di potenza, ma unicamente perché potesse essere “se stessa” senza alcuna restrizione. Hitler, quindi, appare agli occhi di Heidegger come “garante della libertà del popolo tedesco. E’ opportuno evidenziare che in occasione del plebiscito manifestarono pubblicamente la loro adesione alla linea politica di Hitler esponenti della cultura tedesca come il fisico Max Planck, numerosi vescovi, compreso quello di Friburgo.
Non si può, pertanto, non tener conto deh Heidegger con la sua adesione fornì delle “garanzie” al regime che si è rivelato come violento ed inumano e, soprattutto, appare inspiegabile il suo silenzio quando vennero promulgate le leggi razziali e quando venne attuato lo “sterminio” degli ebrei. D’altra parte l’antisemitismo del partito era già evidente nel ’33 (quando gli studenti vollero esporre un manifesto antisemita - è pur vero che Heidegger ne vietò l’affissione all’interno dell’Università) che stabiliva che i docenti d’origine ebrea non potevano più insegnare.
E’ assai difficile, anzi impossibile districare in un filosofo il suo pensiero dalle sue scelte, infatti il pensiero, dovrebbe indicare all’uomo principi universalmente validi che costituiscono una guida per orientare il proprio agire; Platone nella VII lettera afferma che quando era giovane pensava di dedicarsi alla vita politica ma ben presto si rese conto che “tutte le città erano mal governate” e che solo la “retta filosofia” rende possibile vedere la giustizia negli affari pubblici ed in quelli privati”.
Il quesito che si pone, allora, è se in Heidegger il pensiero abbia “abdicato” al suo compito e se ciò non costituisca una delle “tragedie” più gravi per l’uomo.
TESTI CONSULTATI
Francois Guery, Heidegger rediscutè;
Heidegger,La poesia di Holderlin;
Heidegger, L'abbandono;
Heidegger, Carteggio M. Heidegger-Elisabeth Blochmann;
Heidegger, Essere e tempo;
Holderlin, Ritorno a casa, in Le liriche a cura di E. Mandruzzato;
Weil, La situazione in Germania;
Weil, La prima radice.