EVOLA JULIUS: La rivolta

RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO

CENNI BIOGRAFICI

Evola (1898-1974) nato a Roma da una famiglia siciliana di nobili origini, si è  formato sugli scritti di Nietzsche, Michelstaedter e Weininger, nel corso della sua vita ha maturato molteplici esperienze: negli anni ’20 aderì al dadaismo, movimento sorto in Svizzera con la fondazione del Cabaret Voltaire, il 1° febbraio 1916 per opera di Hugo Ball,  al quale aderirono letterati, poeti ed artisti come il pittore Hans Arp e il poeta rumeno Tristan Tzara. Il movimento ebbe come principali centri Zurigo,  New York, Berlino, Colonia e Parigi,d uno dei suoi caratteri fondamentali è quello di non voler avere programmi, di attuare la ribellione nei confronti di tutte le forme d’arte utilizzando nuovi materiali, nuove tecniche come il collage, fotomontaggi: le foto venivano ritagliate e mescolate come frammenti di giornali, di manifesti, per creare il senso della “frammentarietà” tipica della società attuale.
Le esperienze rappresentanti il significato del dadaismo possono essere individuate nelle opere di Marcel Duchamp, Hans Arp e Max Ernst (che appartenne al gruppo di Colonia e, trasferitosi a Parigi nel 1922, aderì al surrealismo).
Il dadaismo ebbe soprattutto una carattere  provocatorio  sia utilizzando materiali prima impensabili in arte, sia introducendo nel linguaggio artistico nuove tecniche e  suggerendo diversi rapporti spaziali e linguistici.
L’esperienza dadaista di Evola, maturata in seguito allo scambio epistolare con Tzara, si esprime con la produzione di dipinti esposti a Roma e a Berlino, la collaborazione alla rivista Bleu e l’elaborazione di scritti teorici “Arte astratta”   (1920), la composizione di poesie e poemi “La parole obscure du paysage interieur”, (1921); tali esperienze costituiscono un momento di ricerca del percorso compiuto da Evola.
Evola partecipa alla prima guerra mondiale  come ufficiale di artiglieria e inizia a comporre due scritti filosofici:  “Teoria dell’individuo assoluto” (1927) e “Fenomenologia dell’individuo assoluto” (1930), opere precedute dalla pubblicazione di una raccolta di scritti: “Saggi sull’idealismo magico” (1925). Studia le dottrine orientali, frequenta i circoli esoterici romani e si interessa di politica collaborando a molteplici riviste. Nel 1928 pubblicò lo scritto “Imperialismo pagano”, un pamplhet  contro il cristianesimo, posizione che mutò successivamente riconoscendo la possibilità della visione cattolica.
 Nel 1934 fu pubblicata la sua opera più significativa: “Rivolta contro il mondo moderno”, opera che ebbe  un’edizione tedesca nel 1935 e due successive edizioni, con significative modifiche, nel 1951 e nel 1969; negli anni trenta tenne conferenze in diverse città europee (Vienna, Praga, Bucarest, Budapest) e diffuse in Italia le opere di Spengler, Guénon, Bachofen.
Evola venne spesso considerato come un esponente del fascismo; in merito è opportuno precisare che il filosofo non aderì mai al partito fascista, piuttosto può essere considerato come un “teorico di un tradizionalismo puro” di carattere ideale.
Nel 1944 quando gli Americani entrarono a Roma, lasciò la capitale e si rifugiò a Vienna dove  fu coinvolto in un bombardamento che gli provocò una lesione al midollo spinale, causa di una paresi permanente. Solo nel 1948 può rientrare in Italia, a partire dal 1951 risiede definitivamente nella sua abitazione a Roma. Non è, però, inattivo: non solo rielabora alcuni scritti giovanili, ma collabora a giornali, pubblica nuovi scritti: “Metafisica del sesso”; “Cavalcare la tigre”, “Gli uomini e le rovine” e dirige per le Edizioni Mediterranee, dal 1968 al 1974, la collana “Orizzonti dello Spirito”.
Negli scritti di carattere filosofico: “Saggi sull’idealismo magico”, “Teoria dell’individuo assoluto”,“Fenomenologia dell’individuo assoluto,” Evola contesta l’idealismo trascendentale, nel quale rientra l’attualismo di Gentile; in quanto considera le elaborazioni degli idealisti come astratte
Secondo Evola il “rovesciamento” delle teorie filosofiche, non deve attuarsi in “prassi politica,” ma in prassi magica che può essere realizzata solo da chi è in grado di “dominare se stesso, di conseguire un’interna superiorità spirituale” che solo qualcuno è in grado di conseguire. Solamente chi è “padrone assoluto di se stesso” è in grado di possedere la sapienza del potere magico e di affermare compiutamente l’assoluta libertà, in tale contesto, l’esperienza artistica (in particolare quella del dadaismo) costituisce un momento “propedeutico di un ulteriore slancio”.



          
           IL TEMA DELLA TECNICA.
Evola, come altri intellettuali, si oppone alla società odierna, che  ha smarrito ogni dimensione spirituale; domina la macchina, il prorompere delle masse, della plebe motorizzata e l’interesse “individuale e utilitario».
La sensibilità per i valori è venuta meno in un’epoca che riconosce come mero valore il lavoro; la «superstizione moderna del lavoro” caratterizza tanto la “destra” quanto la “sinistra”. Il lavoro è divenuto una di  «quelle entità sacre ed intangibili, circa le quali l’uomo  moderno non osa dire nulla che non sia lode e esaltazione».
Non solo: l’odierna “società economica” tende a dare  carattere di lavoro e, quindi, economico anche alle attività più elevate. Secondo Evola l’attuale «umanesimo del lavoro» e la rivendicazione dell’«alta dignità» del lavoro hanno un unico scopo: far dimenticare all’uomo ogni interesse superiore e fargli accettare di buon grado il suo inquadramento «ottuso ed insensato» in strutture che si fondono, esclusivamente, sul lavoro e sulle gerarchie produttive.
La visione moderna della vita, basata unicamente sul materialismo e sull’economia, impedisce al singolo di possedere una gerarchia dei valori e di conseguenza una dimensione interiore di libertà.
Il predominio della tecnica investe la costruzione stessa del linguaggio, ridotto sempre più a forme semplificate ed abbreviate, per cui vengono meno le sfumature del discorso, la capacità di “modellare” la lingua e quindi di comunicare.
La critica di Evola riprende temi oggetto di riflessione anche da parte di altri pensatori; Heidegger ha evidenziato come, a causa della tecnica, possono andare smarrite l’essenza dell’uomo e l’essenza della verità: “L’ essenza della tecnica viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. Si tratta del giorno più corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno, Frattanto, non solo è tolta all’uomo ogni protezione, ma le tenebre avvolgono l’ integrità del tutto dell’ ente. Ogni salvezza è tolta. Il mondo diviene allora empio. E così,non solo resta nascosto il Sacro (das Heilige) come traccia della divinità, ma la stessa traccia del Sacro, la salvezza, sembra dissolta. A meno che non ci siano mortali in grado di vedere la minaccia della mancanza di salvezza in quanto minaccia. Essi debbono poter vedere quale pericolo incombe sugli uomini. Il pericolo consiste nella minaccia che investe l’ essenza dell’ uomo nel suo rapporto all’ essere e non in qualche pericolo momentaneo. Questo pericolo è il pericolo. Esso si nasconde nell’ abisso che investe ogni ente, Per vedere il pericolo e rivelarlo occorrono mortali che giungano  più rapidamente nell’ abisso.”  
Tra gli studiosi che hanno affrontato tali temi, è opportuno ricordare  M. Pera che, nello scritto “Senza radici,” sostiene che l’Europa non è più in grado di trovare un’identità propria: «non ha una singola voce da emettere, una singola strategia da affermare, un singolo interesse  sopranazionale o strategico da far valere» e non è più in grado di tutelare la propria fede e sicurezza; l’Europa è «senza radici» perché il relativismo dominante favorisce non tanto la tolleranza quanto “l’arrendevolezza» e il declino. Non solo i filosofi, ma anche  numerosi scienziati hanno sostenuto che il dominio della tecnica potrà provocare danni irreparabili; Konrad Lorenz, nel suo scritto “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” sottolinea che la civiltà attuale rischia di essere travolta da otto peccati capitali: la sovrappopolazione, la devastazione dello spazio vitale, le armi nucleari, la competizione tra gli uomini, l’annullamento della tradizione, la scomparsa di ogni sentimento e di ogni emozione, l’indottrinamento, che ha lo scopo di condizionare gli individui in modo da farne dei sudditi il più possibile uniformi e incapaci di ribellarsi e il decadimento del comportamento sociale provocano un “deplorevole deturpamento” e la “cecità di fronte alla bellezza in tutte le sue forme”.
Evola prende, apertamente, posizione contro un’epoca contrassegnata dal materialismo, dal prevalere del «nichilismo tecnico», dal totale oblio del sacro e sostiene che viviamo in un’epoca di dissoluzione e di rovine, la civiltà europea è sempre più dimentica della propria dimensione spirituale.                                          .

STRUTTURA DELL’OPERA “RIVOLTA CONTRO IL MONDO MODERNO”
La prima edizione di “Rivolta contro il mondo moderno” risale al 1934; l’opera venne pubblicata da Hoepli e vi si volle scorgere un implicito riferimento al fascismo, tanto più che, nella prefazione editoriale anonima, ma quasi certamente composta da Evola, vi si afferma che il libro venne pubblicato in una nazione che «intende organizzare ogni forza intorno ad un’unica direzione ricostruttrice»;  ma  tale lettura dell’opera è riduttiva e non ne coglie pienamente il significato. Vi sono state, successivamente due edizioni, una nel 1951 e l’altra nel 1969; l’opera ha mantenuto il medesimo impianto formale, tuttavia alcuni capitoli quali: la Legge, lo Stato e l’Impero, La dottrina delle quattro età, Nazionalismo e collettivismo sono stati ampiamente rimaneggiati nelle edizione del 1951; nell’edizione del 1969 sono state apportate alcune modifiche ed integrazioni. Occorre ricordare che, nel 1935, l’opera venne tradotta in tedesco e, in quell’occasione, Evola predispose un nuovo testo poi inserito, in massima parte, nell’edizione del 1951.
Tra la prima edizione e le successive possiamo individuare alcuni significati differenti:
Nella seconda ed ancor più nella terza, Evola attenua le posizioni di condanna nei confronti del cristianesimo e cerca di individuarne i lati positivi.
Tuttavia Evola, sostanzialmente, non ha mutato la condanna nei confronti del cristianesimo, almeno nelle forme in cui si è affermato, come si può notare nel capitolo: «sincope della tradizione occidentale».
Evola sostiene che nel cristianesimo e, in particolare, nel cattolicesimo, permangono, certo, elementi della tradizione romana dello jus e del mos, ma prevalgono gli elementi che si collegano al profetismo ebraico e ai culti asiatici della decadenza.
Le revisioni che Evola  ha apportato, nella seconda e terza edizione al capitolo dedicato al tema della regalità, non comportano un mutamento significativo: permangono le riflessioni di Evola circa il concetto di regalità,  intesa quale principio spirituale,” e il fondamento della suprema autorità che non è «la forza e la violenza, , la saggezza, l’abilità, il coraggio fisico, la sollecitudine minuta per il bene materiale della collettività» ma la «qualità trascendente» di colui che esercita il potere, che fa «da diga alle forze oscure della natura inferiore».
L’opera nasce da un  vasto retroscena culturale di carattere antropologico e filosofico, come attesta l’ apparato bibliografico e non indaga solo i caratteri della crisi che  ha colpito la società della tecnica ma ricerca, più in generale, quali siano le cause che provocano il decadimento della civiltà e individua quali possano essere i valori  a cui fare riferimento.
Lo scritto, quindi, si conferma, essenzialmente, quale indagine sulle individuazioni delle crisi che investono le società stanche e, in particolare, il mondo moderno; e presenta, anche, una presa di posizione attiva da parte dell’autore. Infatti, nella conclusione, Evola individua quali possano essere le modalità per far riemergere la società occidentale dal baratro in cui è caduta.   Evola  considera, il mondo della tradizione, quale dimensione di riferimento a cui aggrapparsi per poter realizzare un capovolgimento culturale. Secondo il pensatore «potrebbe salvare l’occidente soltanto un ritorno allo spirito tradizionale in una nuova coscienza unitaria europea»; e, pur riconoscendo che oggi non esistono le condizioni per la rinascita, tuttavia Evola reputa che sia possibile «un ritorno alle origini» e  riaffermare una spiritualità eroica ed aristocratica: «E’ proprio di una vocazione eroica l’affrontare l’onda più vorticosa sapendo che due destini sono a uguale distanza: quello di coloro che finiranno con la dissoluzione del mondo moderno e quello di coloro che si ritroveranno nel filone centrale e regale della nuova corrente».
Occorre, quindi, una capacità eroica per uscire da una situazione di involuzione e di decadenza; la salvezza può giungere, unicamente, dal rigenerarsi della dimensione interiore della persona, dall’emergere di una nuova visione del mondo; occorre abbandonare il materialismo che caratterizza la società moderna, le condizioni della vita quotidiana che ormai dominano incontrastate, le attuali forme del giudicare e del sentire; occorrere, cioè, «una catarsi totale, una dimensione che nulla risparmi, tale da portar fuori dalle concrezioni dell’uomo ultimo, dal suo “Io”, dai suoi orgogli e dalle sue opere, dalle sue speranze e dalle sue angosce».
Evola, quindi, da un lato conduce un’indagine sul decadimento della società e della cultura attuale, dall’altro individua quali sono i valori alternativi a cui riferirsi.
Come già rilevato Evola si basa su numerosi testi (biografici, scientifici, antropologici) da lui  consultati, in particolare: Bachofen, Guénon e Eliade (i primi due studiosi sono tra i più citati in assoluto); numerosi anche i riferimenti alla cultura classica (in particolare Platone e Plutarco), a quella indiana e, tra i pensatori moderni, Nietzsche.
In particolare, egli desume da Bachofen  la teoria che il mito costituisca il fondamento  della storia e che il linguaggio mitico è una trasposizione degli eventi storici che, sono sublimati e universalizzati
La lettura di Bachofen ha consentito a Evola di elaborare un’interpretazione originale del concetto di tradizione che è  intesa quale archetipo universale; la tradizione ha una dimensione metastorica: segno distintivo della tradizione è «l’eterno». Il mondo della tradizione è inteso in senso universale,  sovraterreno e  superumano: le  civiltà forniscono l’immagine dell’uomo superiore, trascendente, dell’uomo della tradizione, come argomenta Gottfried Benn, poeta e medico tedesco esponente della “Rivoluzione conservatrice” una delle correnti politiche della destra tedesca operanti in Germania negli anni ’20, che  Evola   incontrò nel 1931 quando, per la prima volta, si recò in Germania per tenere una conferenza all’università di Berlino e un’altra a Brema in un convegno internazionale di studi storici.
Per evidenziare meglio il pensiero di Evola si può fare riferimento all’opposizione che Eraclito formula tra “svegli” e “dormienti” (fr. 2,34,73,89): “svegli” sono coloro che non si fermano all’apparenza, che ricercano ciò che è sovrannaturale: il Logos, la legge suprema che regge tutto, i “dormienti”, si fermano all’apparenza delle cose, al mondo fittizio.
Nel momento storico presente, prevale la ricerca dell’utile, della “materialità” e il processo è ormai così vasto che la dissoluzione è prossima. Ma potrebbe anche esser possibile un capovolgimento: come Heidegger evidenzia, nel discorso “Sull’autoaffermazione dell’università tedesca:”  il popolo tedesco potrà attuare il proprio destino  attraverso la lotta condotta con rigore, responsabilità e «superiore perseveranza».
 Heidegger conosceva l’opera di Evola, infatti nello scritto “Un programma di sovvertimento spirituale” cita una frase tratta dall’ opera “Rivolta contro il mondo moderno:”  “Quando una razza ha perduto il contatto con quello che solo ha e può dare durevolezza col mondo dell’ Essere allora gli organismi collettivi da essa formati, qualunque sia la loro grandezza e potenza, sprofondano fatalmente nel mondo della causalità.” Analogamente Evola ritiene che, mediante  l’azione, sia possibile un “nuovo inizio” che per Evola non coincide né con il fascismo, né con il nazismo; per attuare un capovolgimento, è necessario «costruire una corrente di destra non nel senso politico, ma anche e anzitutto ideale e spirituale»  cioè, è necessario, attuare una «costruzione, anzi ricostruzione della personalità interiore di chi deve vedere fra le rovine ancora per lungo tempo».
Evola, come altri esponenti conservatori rifiuta le ideologie dominanti il capitalismo, il comunismo, il liberismo, considerate quali cause della decadenza europea, reputa che sia possibile un’inversione di tendenza mediante l’azione intesa come «azione eroica» secondo il significato sacro che essa spesso ebbe nell’antichità .3
Nell’azione sussiste uno stretto rapporto  tra conoscenza  e azione e non può essere confusa con gli atti di violenza, ma implica un rapporto alla trascendenza. Possiamo individuare delle analogie circa il concetto di azione tra il pensatore italiano e lo scrittore giapponese Yukio Mishima che, nello scritto “Lezioni spirituali per giovani samurai” sostiene che «l’azione più pura ed essenziale riesce a cogliere i valori della vita e le questioni eterne dell’umanità»:) Non è uomo d’azione l’uomo d’affari che mira unicamente ad accrescere i propri guadagni, ma colui che, dopo un lungo addestramento, è in grado di dominare l’angoscia e il senso di solitudine che ci assale e a concentrarsi nell’attesa del momento opportuno per agire.
Come evidenzia Mircea Eliade, nella recensione dell’opera di Evola  con il termine “tradizione,” Evola intende «ogni valore creato da una vera civiltà che non fa della vita uno scopo in sé, ma considera che l’esistenza umana è unicamente un mezzo per giungere a una realtà spirituale, trascendente».
Evola prende in esame molteplici forme di civiltà: egizio-mesopotamica, assiro-babilonese, germanica, classica, greca e romana,  e sostiene che il venir meno di una civiltà è provocato dall’offuscamento della dimensione spirituale e del “senso del sacro”. L’involuzione del mondo contemporaneo ha  le sue radici nel crollo del “principio di spiritualità;”  secondo il filosofo la decadenza trae origini dal venir meno della «dimensione dello spirito»; quando è stato perduto il contatto «con ciò che solo può fornire stabilità con il mondo dell’essere, gli organismi collettivi, che una società ha creato quale  sia la loro grandezza e potenza, scendono fatalmente nel mondo della contingenza, sono alla mercé dell’irrazionale e  del mutevole».
Una civiltà, quindi, può continuare a sussistere, solo quando è “viva”, la secolarizzazione e l’ umanizzazione ne provocano il tramonto; può permanere per un periodo più o meno lungo, la decadenza si snoda in modo quasi impercettibile, tuttavia, tale moto è continuo e inarrestabile: è totalmente smarrito il “significato” dei riti, delle istituzioni, delle leggi, dei costumi, sono come «argilla disseccata» che si sgretola, per cui basta un “minimo urto” per far crollare una società, ormai giunta all’estremo limite degenerativo.
Dal punto di vista temporale la “decadenza dello spirito” secondo Evola sarebbe iniziata  fra il VII ed il VI sec. a.C., quindi prima rispetto all’ipotesi formulata da Nietzsche che ritiene l’inizio della “decadenza dello spirito” con l’apparire del pensiero socratico e di Platone. Ha avuto inizio, allora, l’età oscura così chiamata in Oriente o età del ferro come viene definita nel mondo greco-romano o età del lupo secondo miti nordici. Con l’affermazione dell’impero romano sembrò che l’età del ferro avesse termine e si preannunciasse il ritorno all’età primordiale, e che potesse avverarsi la profezia di Virgilio, che una «nuova generazione discende dall’alto dei cieli» e che sarebbe apparso un fanciullo di vita divina  grazie al quale finirà «la razza di ferro» e «sul mondo intero si innalzerà la razza d’oro.
Ma la diffusione dei culti asiatici, la corruzione dei costumi e dell’intima virtus romana hanno provocato un «processo di sfaldamento;»  l’avvento del cristianesimo, che propugna la mortificazione, l’umiltà, che rifiuta la natura considerata come qualcosa di diabolico e che, sul piano politico, intacca l’unità dei due poteri (temporale e religioso) , ha accelerato la crisi.
Evola riconosce che il cristianesimo afferma un principio “spirituale e sovrannaturale”, ma, secondo il pensatore, nella visione cristiana ha prevalso il “disconoscimento” di “ogni possibilità eroica dell’uomo;” inoltre la Chiesa ha tolto ogni elemento di “sacralità” alla sovranità, contestando  la dottrina dell’origine divina della regalità. Le invasioni barbariche che portarono al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, da un lato sconvolsero equilibri secolari, dall’altro si risolsero in un «apporto vivificante» che pose i presupposti per una «civiltà nuova e virile, destinata a riaffermare il simbolo romano»: l’Impero fu considerato come una «realtà superpolitica» come una «istituzione di origine sovrannaturale»; tale visione fu all’origine del conflitto con la Chiesa; tale conflitto non può essere inteso come uno scontro di interessi e di ambizioni poiché cela, al di là delle apparenze, un contrasto fra «due visioni incompatibili che riporta all’antitesi tra Nord e Sud, tra la spiritualità solare e la spiritualità lunare».
L’istituzione tipica del mondo feudale: la cavalleria riafferma da un lato un’idea fondata sui valori dell’onore, del coraggio, della lealtà e della verità, dall’altro riconosce solo un’autorità spirituale di  tipo universale che era essenzialmente quella dell’Impero; se i cavalieri professarono “fedeltà” anche alla Chiesa, tuttavia abbandonarono i valori “evangelici” e la Chiesa fu costretta a sanzionare, o almeno a tollerare, un insieme di principi, valori e costumi che non erano riconducibili a quelli affermati dal cristianesimo.
Le crociate costituirono l’evento che testimonia, in modo esemplare, l’affermazione dell’etica cavalleresca: esse non furono determinate da motivazioni  materiali o dalla volontà della Chiesa, ma assunsero la forma di una “guerra spirituale” come «un lavacro che è quasi fuoco di purgatorio prima della morte» Le crociate erano l’equivalente del «rito del pellegrinaggio e della passione di una via crucis». L’idea che le crociate costituiscano un pellegrinaggio armato è stata poi ripresa da alcuni storici come Cardini.
La lotta contro l’Islam, è  simile all’ascesi mistica; scrive Bernardo di Chiaravalle nel “De laude novae militiae ad Milites Templi” «i cavalieri del Cristo combattono in tutta sicurezza le battaglie del Signore, senza timore di peccare; infatti la morte data o ricevuta per il Cristo «non comporta peccato».
Ai crociati era stato promesso il «riposo del paradiso»: essi combattevano il nemico  affermando una lotta di senso più elevato, una lotta, cioè condotta contro gli impulsi disordinati e contro ogni attaccamento materiale; la guerra riveste, in quest’ottica, un carattere sacro e a coloro che sacrificano la vita terrena per quella divina sarà attribuito un grande premio. 
Secondo Evola, pertanto, a fondamento delle Crociate, così come della Jihad, si può individuare un principio comune (presente anche nella tradizione classica e indiana): che sussiste in una stretta relazione fra la guerra e la «via di Dio”: ciò che si perde, o si può far perdere, è la vita caduca e un corpo mortale, ma per conseguire una dimensione transumana.
La graduale “secolarizzazione e materializzazione dell’idea politica” ha oscurato e  fatto venir meno la concezione della “sacralità” e  quella di impero «nel punto in cui un impero cessa di essere sacro esso comincia a non essere più neanche Impero».L’idea della sovranità si secolarizza, non esiste più alcun riferimento ad una realtà trascendente; lo Stato si secolarizza e viene meno l’universalità dell’impero: gli Stati  devono «cedere» la loro sovranità al popolo (sovranità popolare), per cui «ogni autorità ed ogni legge, sono legittime solo in quanto “espressione” della volontà dei cittadini.”.
Con il naufragare della sacralità dell’impero «nel punto in cui un Impero cessa di essere sacro, esso comincia a non essere più Impero», si dilegua, pure, l’ethos cavalleresco; l’idea di sovranità si “secolarizza” e perde qualsiasi riferimento ad una realtà trascendente anzi, con l’affermarsi del principio della volontà popolare, ogni autorità ed ogni legge sono legittimi solo in quanto espressione della «volontà dei cittadini come individui singoli essi soli sovrani».
Anche le guerre hanno smarrito ogni riferimento  alla “sovranità,” è stato eliminato qualsiasi elemento trascendente  nell’idea del combattere;  gli ideali di patria e di nazione si sono rivelati strumenti di «forze irrazionali, materialistiche e distruttive».
Attualmente, osserva Evola, sono state enucleate nuove grandi idee: quelle di umanità, di democrazia e della libertà dei popoli; ma tali nuove crociate, hanno smarrito ogni idea di sovrannaturale, pertanto le guerre sono determinate esclusivamente dalla “cinica volontà di potenza di oscure forze capitalistiche e collettivistiche (all’epoca esisteva ancora l’U.R.S.S.) internazionali; contestualmente  lo sviluppo scientifico ha provocato un’estrema meccanizzazione e tecnicizzazione» della guerra  per cui quasi mai l’uomo combatte contro l’uomo, ma è la “macchina che combatte contro l’uomo”.
Non solo. Con l’impiego delle armi atomiche, di quelle chimiche e con la guerra aerea indiscriminata, vengono attuati sistemi razionali di sterminio di massa quali un tempo potevano essere pensati solo per “annientare microbi o insetti.
Evola ritiene che, colui che può cavalcare la tigre, non si lascia impressionare dall’onnipotenza e dal mondo apparente delle forze , ma è in grado d’immaginare le condizioni che potranno determinarsi in un tempo futuro ed è pronto ad intervenire quando la tigre, che non può avvalersi contro chi la cavalca, sia stanca di correre.
Le riflessioni di Evola possono sembrare frutto di una visione utopistica o, addirittura, essere confuse con esperienze politiche che hanno drammaticamente caratterizzato la storia europea del XX secolo, ma ad un’analisi attenta e priva di preconcetti, appaiono ricche di intenzioni significative relative alla profonda crisi spirituale che ha colpito a livello culturale e politico la società moderna. La crisi odierna non è, però, per Evola, irrimediabile, ma può essere superata nella misura in cui l’uomo sia capace di una “catarsi totale”
Il processo involutivo non può essere fermato: solo dalle “rovine” potrà sorgere una nuova civiltà che abbia quale fondamento il “sopranaturale;”possiamo individuare un’analogia  con  Heidegger che, nell’opera “Sentieri interrotti,”sostiene  che “la svolta dell’epoca non avviene perché irrompe un nuovo Dio o perché il vecchio esce fuori dal suo nascondimento” Gli dei “di prima” “ritornano” solo al “tempo giusto.”


BIBLIOGRAFIA  E SITOGRAFIA
Damiano G., Per un'altra modernità, Edizioni di AR, collana Consonanze;
Evola J., Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee;
Evola J., Cavalcare la tigre, Ed. Mediterranee;
Evola J., Gli uomini e le rovine, Mondadori;
Heidegger M., Sentieri interrotti, La nuova Italia; 
Lorenz K., Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, Adelphi;
Mishima. Y., Lezioni spirituali per giovani samurai, Mondadori;
Tarquini A., Il Gentile dei fascisti, Il Mulino;
Pera M., Senza radici, Mondadori;
Centro Studi La Runa, Heidegger lettore di Evola, in www.centrostudilaruna.it;

Centro studi La Runa, L’ ultimo libro di Evola. Gli  uomini e le rovine, in www.centrostudilaruna.it.