L' uccisione dei figli nei miti greci
L' UCCISIONE DEI FIGLI NEI MITI GRECI
I MITI GRECI: INTRODUZIONE
I miti greci più antichi risalgono, presumibilmente, all' epoca neolitica , quando era venerata la “Grande Dea Madre” : tali miti riflettono i rapporti sociali e politici che hanno caratterizzato il matriarcato. I più antichi miti pelasgici narrano che, all' inizio, Eurinome, Dea di tutte le cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intrecciò “una danza sulle onde", danzando si diresse verso sud, mentre il vento turbinava alle sue spalle; all'improvviso Eurinome si voltò, afferrò il Vento del Nord, lo soffregò tra le mani ed apparve il serpente Ofione. Eurinome continuò a danzare sempre più selvaggiamente, finchè Ofione avvolse, con le sue spire, le membra della dea e si accoppiarono, poichè il Vento del Nord è un vento fecondatore. Eurinome rimase incinta: la dea, volando sul mare, assunse la forma di una colomba e, quando fu il momento, depose l'Uovo Universale; Ofione si arrotolò sette volte attorno all'uovo che si schiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti, figlie di Eurinome: il sole, la luna, i pianeti, le creature viventi. Eurinome e Ofione si stabilirono sul Monte Olimpo, ma Ofione irritò la dea vantandosi di essere creatore dell’universo; Eurinome, allora, lo relegò nelle buie caverne sotterranee; la Dea creò "le sette potenze planetarie” e mise a capo di ciascuna di esse un Titano o una Titanessa Il primo uomo fu Pelasgo, capostipite dei Pelasgi, egli emerse dal suolo dell' Arcadia e fu seguito da altri uomini ai quali Pelasgo insegnò come fabbricare capanne e come nutrirsi di ghiande, cucire tuniche di pelle di porco.
Omero, nell’Iliade, allude ad un altro antico mito sulle origini del mondo; secondo tale mito, Oceano è “padre degli dei”, e Teti la madre e dal loro congiungimento, nacquero figli e figlie: le dee Oceanine; quando la procreazione ebbe fine, a Oceano, subordinato al potere di Zeus, rimase solo la facoltà di fluire in circolo, di alimentare le sorgenti, i fiumi e il mare.
Occorre pure ricordare i miti orfici sulle origini del mondo: il mito narra che, in principio, esisteva la Notte – ricordata pure da Omero nell' Iliade - che aveva l' aspetto di un uccello dalle ali nere venne fecondata dal vento e depose un uovo d' argento nell' immensa oscurità; dall'uovo balzò fuori un dio con le ali d' oro, Eros, che “mise in moto l’ universo;” egli creò la terra, il cielo, il sole e la luna; la Notte dominò sull’ Universo, finché il suo scettro passò nelle mani di Urano(8). Il mito più noto è quello narrato da Esiodo, abbiamo scarse notizie di carattere biografico relative a Esiodo; sappiamo solo che è vissuto nel VI sec. a.C., pare che fosse un piccolo proprietario terriero; in gioventù era pastore di pecore sul monte Elicona, come possiamo desumere dalla Teogonia, dove Esiodo narra che, mentre pasceva gli armenti, le Muse si rivolsero a lui garantendogli che gli avrebbero ispirato "cose vere." Nella Teogonia Esiodo afferma che primo fu il Chaos, che non è una divinità, ma l’immenso vuoto dove tutto è confuso (si potrebbe, forse, paragonare alla situazione esistente prima del Big - Bang) e mescolato insieme; poi dall’abisso emerse Gea ( o Gaia) – la terra "dall' ampio petto" ed Eros "il più bello fra gli dei immortali”. Dal Chaos nacquero Erebo e la nera Nyx (la Notte); Nyx si unisce con Erebo e partorisce l' Etere ed Emere (il giorno). Gaia generò, in modo autonomo, Urano affinché l' avvolgesse tutta d' intorno (l' abbracciasse), quindi genera i monti “grato soggiorno alle dee Ninfe che hanno dimora sui monti ricchi d’ anfratti” e il mare “infecondo di furore furente; generò tutto ciò senza accoppiamento”; poi "giacendo con Urano" generò Oceano, i Titani, - sei maschi e sei femmine - i Ciclopi, Bronte, Steropes e Arges, quindi altri tre figli, Cotto, Briareo e Gyge. Esseri terribili e mostruosi: dalle loro spalle si protendono cento mani, e dalla testa di ognuno di loro spuntano cinquanta teste. Ogni notte Urano si univa a Gaia, ma egli odiava i suoi figli per cui la Dea li nascondeva all' interno della cavità della Terra, ma il peso dei figli divenne intollerabile per la dea che fabbricò una falce, quindi, disse ai figli che avrebbero potuto vendicarsi di un padre scellerato. Solo Crono accettò di vendicare la Madre; Gaia gli diede la falce e gli spiegò con quale stratagemma avrebbe potuto colpire Urano; di notte, quando Urano avrebbe abbracciato la terra, coprendola tutta, doveva colpire il padre. Crono, giunta la notte, uscì dal suo nascondiglio, afferrò Urano con la mano sinistra e con la destra prese la falce recise i genitali e li gettò in mare. Gaia accolse in sè le gocce di sangue di Urano, che era sprizzate ovunque e, così fecondata, generò le Erinni e i Giganti.
Crono sposa la sorella Rea e, avendo appreso dalla madre che sarebbe stato spodestato da uno dei figli, li inghiottiva subito dopo la loro nascita.
Rea, quando partorì, Zeus lo portò "in un antro scosceso" dove nascose il neonato, quindi prese una grande pietra, l'avvolse nelle fasce e la dette a Crono che la inghiottì. Zeus crebbe forte e coraggioso e, giunto all' età adulta, vinse Crono con l' inganno e lo costrinse a rigettare i figli che aveva ingoiato. Zeus liberò non solo i propri fratelli, ma anche i fratelli di Crono, incatenati da Urano, che lo ringraziarono donandogli il tuono ed il fulmine.
Zeus e gli altri Dei lottarono per dieci anni contro i Titani, finalmente, consigliati da Gaia, fecero uscire dal Tartaro i Ciclopi, esseri con un solo occhio (Bronte, Sterope, Arge) e i mostri dalle cento braccia (Ecantochiri Briareo, Gie, Cotto). La lotta fu terribile: i gli Ecantochiri scagliavano massi enormi contro i Titani.
I Ciclopi fecero dono a Giove di un elmo che rendeva invisibile e a Poseidone donarono il tridente per scuotere la terra e il mare; lo scontro si concluse con la vittoria degli dei Olimpici, Crono e i Titani furono incatenati nel Tartaro e gli Ecatonchiri divennero i loro guardiani; Poseidone, per impedire ai Titani di uscire, chiuse il Tartaro con una porta di bronzo e costruì un muro che chiude da tutte le parti. Terminato, definitivamente, il regno di Crono aveva inizio quello del figlio, Zeus, il dio “dall’ ampio sguardo” che assunse il comando degli immortali e “bene distribuì loro gli onori”.
Si può notare che nel mito narrato da Esiodo, come negli altri miti cosmogonici greci, manca il concetto della creazione ex nihilo, presente nel racconto biblico: ogni cosa è prodotta da un'altra sino a giungere al Kaos che preesiste, ma di cui non sono indicate le origini; Kaos non è una divinità, ma è un immenso “vuoto” dove domina il buio assoluto e il disordine; attraverso le successive generazioni di dei, si procede verso un Cosmo ordinato che viene conseguito dal momento il cui Zeus diviene il sovrano degli dei e degli uomini.
E’ possibile individuare alcune somiglianze tra la Teogonia e testi elaborati nell’ area Medio-orientale: la successione di Urano – Kronos – Zeus è simile a quella di un testo ittita del XIII sec. a.C. dove si narra della lotta per la supremazia tra gli dei Alalus – Anu – Kumarpi – Dio delle tempeste ; anche nel racconto ittita il dio Anu, il cui nome significa cielo, può essere identificato con Urano, entrambi vengono evirati e dalla mutilazione nascono altre divinità; Kumarpi detronizza Anu, porta dentro di sè la prole generata dai genitali di Anu che ha ingoiato, mentre Kronos divora la sua prole. Tali concomitanze, però, si riferiscono ad aspetti esteriori, mentre ben diversa è la visione che Esiodo propone: egli, infatti, mira ad evidenziare il processo attraverso il quale dalle tenebre del Kaos, che comunque permangono, scaturisca l’universo; i diversi eventi sono tra loro collegati, si potrebbe dire, secondo lo schema causa-effetto. Inoltre, sussiste un’altra differenza importante: Esiodo introduce quale divinità la terra: Gea che prima di congiungersi con Urano, produce, autonomamente, delle divinità; nella Teogonia, quindi, possono essere individuati elementi persistenti di una società e cultura matriarcale che ormai volgono al tramonto. La Teogonia può essere considerata come un tentativo di fornire una visione “sistematica” del mondo divino e di quello naturale: dal Kaos originario, all’ improvviso, sorge Gaia; quindi, appare Eros “il più bello fra gli dei immortali”, dopo che sono apparse queste divinità si avvia una progressiva organizzazione del mondo. Esiodo, pertanto, introduce due importanti principi: innanzitutto, il mondo è considerato un cosmo ordinato, in secondo luogo viene introdotto il principio del divenire, del mutamento, principio che costituisce il fondamento delle indagini dei filosofi presocratici.
Il problema del significato dei miti, fu affrontato da Vico che paragona l’età dell'uomo con quelle della storia: come in ogni età l’ uomo ha diverse facoltà, analogamente, in ogni età della storia, l'uomo opera secondo diverse facoltà: come nell' infanzia prevale la fantasia, così nei primi uomini "insensati e orribili bestioni", doveva prevalere questa facoltà,. Gli uomini "del Mondo fanciullo" per natura furono "sublimi poeti." (1)
Vico, come osserva Benedetto Croce, nel suo saggio, considera la poesia quale "prima forma della mente anteriore all'intelletto e libera da riflessioni e raziocinio" (2)): la poesia costituisce la forma espressiva tipica "dell'infanzia dell'umanità" e può essere considerata "la prima operazione della mente umana (3), quando gli uomini non erano ancora capaci di condurre ragionamenti sensati.
Vico identifica la poesia con il mito ed è persuaso che i miti non siano "favole" o allegorie, ma costituiscano "verità storica," nella forma che la verità storica è solita assumere nella mente primitiva: "Il mito non è favola ma storia, quale possono formarsela gli spiriti primitivi, e da questi severamente tenuta come racconto di cose reali" (4). L' interpretazione del mito fornita da Vico, ha avuto ampio sviluppo in epoca romantica e nel corso del XIX e del XX secolo, oltre che in campo filosofico, anche in quello letterario e psicoanalitico; nel Settecento gli Illuministi, invece, pur ammettendo che fosse possibile considerare il mito come "un'introduzione alla storia dell'antichità", considerano i miti caotici e confusi sul piano razionale e ritengono che i miti siano "favole" piene di assurdità, confuso miscuglio delle chimere dell'immaginazione. La visione vichiana e quella illuministica, sono, quindi, antitetiche: di contro agli Illuministi, che ritengono che i miti e le espressioni poetiche degli antichi uomini non siano altro che superstizioni ed errori vanificati dalla ragione e dalla ricerca scientifica, Vico reputa che i miti e le poesie costituiscano una particolare modalità conoscitiva e che, la sapienza degli antichi trovi espressione nella poesia e nei miti. Vico, infatti, afferma che "lI primi Sappienti del Mondo Greco furon’ i Poeti Teologi, i quali senza dubbio fioriron’ innanzi agli Eroici” (5) e “poichè le origini delle cose tutte debbono per natura essere rozze, dobbiamo per tutto ciò dar incominciamento alla Sapienza Poetica da una rozza lor metafisica dalla quale, come da un tronco si diramino per un ramo la Logica, la Morale, l' Economia, e la Politica tutte Poetiche; e per un altro ramo tutte eziandio Poetiche, la Fisica, la quale sia stata madre della loro Cosmografia, e quindi dell' Astronomia; che ne dia accertate le due sue figliole, che sono Cronologia e Geografia" (6).
Vico riprende dalla tradizione filosofica la metafora dell' albero del sapere (metafora usata anche da Cartesio): la metafisica costituisce le radici, il tronco si divide in due rami: da un lato il ramo delle "scienze pratiche" dall'altro le "scienze teoretiche;" sono presenti, però importanti varianti: secondo Vico, logica e linguaggio coincidono, la "Sapienza poetica" intesa quale "rozza metafisica" concepita dai "poeti teologi" costituisce le "radici" dell' albero; infine, tutte le scienze sono considerate non oggettivamente per il loro campo d'indagine, ma quali prodotti dell' uomo e, quindi, storicamente situate.
La ricerca storica, pertanto, deve tener conto della mentalità, dei costumi e delle tradizioni di un popolo, lo storico non deve indagare e valutare il passato secondo la sua mentalità, ma secondo le caratteristiche proprie di ogni epoca; occorre cioè, abbandonare la "Boria delle nazioni" per cui ognuna stima di essere "la prima del mondo" e la "Boria dei dotti" che vogliono trovare negli antichi documenti delle analogie con il proprio pensiero; occorre, quindi, che "da si fatti Primi Uomini, stupidi, insensati ed orribili bestioni, tutti i Filosofi e Filologi dovean cominciare’ a ragionare la Sapienza degli antichi Gentili" (7).
UN’INTERPRETAZIONE STORICO-FILOSOFICA DEL MITO.
Secondo Vico, i primi "Poeti Teologi" crearono la "prima favola divina relativa a Giove, Padre degli uomini e degli Dei, che manifestava la sua ira mediante i fulmini; tale immagine suscitava talmente timore che gli stessi Poeti che l'avevano immaginata, la credettero vera per cui riverirono ed onorarono la divinità : "I Poeti "creatori di miti" "si finsero la prima Favola divina, la più grande di quanto mai se ne finsero appresso, cioè Giove; Re e Padre degli uomini e degli Dei.....essi stessi che se 'l finsero, se 'l credettero, e con spaventose religioni, le quali appresso si mostreranno, il temettero, il riverirono e l' osservarono" (8). Poichè la fantasia e l' immaginazione dominavano gli esseri umani tutti credettero che Giove esistesse e che tutte le cose fossero "piene di Giove"; i fenomeni atmosferici furono ritenuti il linguaggio con il quale il "Dio" parlava agli uomini e, immaginando tale divinità, diedero una spiegazione dei fenomeni della "Natura" considerati quali manifestazione del Dio. La religione, pertanto, ha -secondo Vico- "un'origine umana e ciò vale per tutti i popoli", ad eccezione del popolo ebraico che, quale popolo eletto, ha avuto il "privilegio" della rivelazione. Inoltre, la religione ha esercitato un ruolo fondamentale nel processo di civilizzazione, poichè gli uomini, per paura di offendere la divinità, cominciarono ad esercitare un controllo sugli istinti e sulle passioni.
La religione, quindi, ha indotto gli uomini a contenere la loro "libidine bestiale," gli uomini timorosi di esercitare la loro libidine in faccia al Cielo" di cui avevano uno spavento grandissimo," cominciarono a "strascinare per sè" la donna dentro le loro grotte e a tenerlavi dentro in perpetua compagnia di loro vita . Sorse, in tal modo, il sentimento del pudore ed il vincolo dei matrimoni che sono "carnali congiungimenti pudichi fatti con timore di qualche divinità" (9). Vico osserva che, presso tutti i popoli i matrimoni sono celebrati religiosamente e grazie alle unioni i genitori hanno cura dei figli e sono evitati i rapporti incestuosi dei padri con le figlie, unioni che "tutte le nazioni naturalmente abborriscono. Grazie alla religione, sorse la convinzione che esiste un'anima che non muore con i corpi e che continuano a vagare inquiete se i corpi restano insepolti; venne, pertanto abbandonato il "bestiale costume" di lasciare insepolti i cadaveri.
Religione, matrimoni e sepolture solenni dei defunti sono principi universali ed eterni che "tutte le Nazioni così barbare che umane custodiscono;" si tratta di "idee uniformi" comuni a tutti i popoli e, quindi devono avere un motivo di vero; esse hanno dato inizio al vivere civile e si devono "santissimamente custodire" affinchè il mondo "non s' infierisca e si rinselvi di nuovo" (10 ); tali costumi sono, secondo Vico, eterni ed universali e costituiscono un freno alle violente passioni che agitano gli esseri umani e costituiscono il fondamento della moralità.
L' Illuminismo ed il Positivismo hanno considerato il mito irrazionale ed è stato dato spazio ai temi del progresso e del razionalismo; ma, soprattutto, nel corso del Novecento, le problematiche del mito sono state, nuovamente, oggetto di riflessione; si è cercato di riattualizzare i miti, non solo come oggetto di analisi sul piano psicoanalitico, ma anche per porre in luce i molteplici temi che vengono affrontati sul piano del divino e dell'umanità ancora primitiva.
Cassirer nella sua opera “ Saggio sull’ uomo” sostiene che nel mito “ad un elemento teoretico si unisce un elemento di creazione artistica. Ciò che nel mito colpisce è soprattutto la sua grande affinità con la poesia” (11); inoltre, il mito “implica un atto di fede. Senza la credenza nella realtà del suo oggetto il mito diverebbe privo di fondamento()12).
Walter Friedrich Otto sostiene che il mondo del mito è il mondo del dio “che può solo manifestarsi essere esperito............La figura del dio è quel mito originario che non dobbiamo lasciarci sfuggire dallo sguardo” (13). I miti sono di diverso rango, ma solo i miti originari hanno come fondamento la sapienza. Otto fa tre esempi per porre in evidenza l’ essenza del mito: il mito di Orfeo, quello di Edipo e quello di Crono e Urano, i primi due fanno parte delle saghe eroiche, e- secondo Otto- il mito degli eroi ha un inscindibile legame con quello degli dei e, pur avendo una sovranità sovraumana, “si piegano dinanzi a ciò che li sovrasta, il divino” (14). Invece, il mito di Urano e Crono era diffuso in tutta Europa e nell’ Asia e si ritiene che la Teogonia di Esiodo, sia molto più tarda rispetto alle altre; ma la sequenza Urano – Crono - Zeus , sia pure con un nome diverso delle divinità, sono simili: “ il vero mito è sempre un mito di dei” (15).
Walter Otto nella sua opera “Il mito” sostiene che i miti erano considerati come “verità sacre ed inviolabili” e “tutte le religioni sono inizialmente mitiche”; inoltre, occorre distinguere i miti “I miti sono di diverso rango. La loro dignità dipende esclusivamente dalla loro vicinanza al mito originario della forma del dio ( 16). Il portamento eretto caratterizza gli uomini: mentre tutti gli animali hanno sempre lo sguardo rivolto verso il basso, a terra, il portamento umano è il primo testimone del mito del cielo, del sole e delle stelle. inoltre il mito si rivela nelle azioni umane: l’ incedere solenne, la sublimità dei gesti, il ritmo e l’ armonie delle danze sono tutte autodimostrazioni dei una verità mitica che vuole manifestarsi.
IL TEMA DELL ' UCCISIONE DEI FIGLI NEI MITI ANTICHI.
TANTALO
Non si è sicuri delle origini di Tantalo: c' è chi afferma che suo padre fu Zeus; alcuni dicono che era sovrano di Argo o di Corinto o della Pafaglonia da dove fu scacciato dal frigio Ilo, ebbe tre figli: Pelope Niobe e Brotea; era ammesso ai banchetti di ambrosia e nettare sull'Olimpo; ma spinto dal desiderio di mettere alla prova l'onnipotenza di Zeus e la sua astuzia, uccise il figlio Pelope, lo tagliò a pezzi che fece bollire in un calderone; servì le carni in tavola; quindi invitò Zeus e altri dei, che capirono che cosa conteneva il piatto, salvo Demetra che, ancora addolorata per aver perso Persefone, mangiò la carne della spalla sinistra di Pelope. Tatalo fu gravemente punito: il suo regno fu distrutto e, dopo la morte, fu condannato da Zeus ad una orribile, eterna tortura: Tantalo era tormentato dalla fame e dalla sete ed è appeso ai rami di un albero carico di frutta che si trova vicino ad una palude, ma quando cerca di raccoglierne qualcuno, il vento li fa cadere lontano; l' acqua giunge sino al mento di Tantalo, ma quando cerca di bere, l’acqua si ritira e ai suoi piedi rimane un nero fango; quando cerca di prenderne qualche goccia tra le mani, l'acqua cade; allora Tantalo cerca di bagnarsi le labbra, ma la sete diventa sempre più terribile. Un enorme masso minaccia di travolgere Tantalo che non riesce ad allontanarsi.
Punito Tantalo, Zeus fece rivivere Pelope: Ermete raccolse i resti di Pelope, Cloto ricompose le membra, Demetra gli diede una spalla d'avorio in cambio di quella che aveva mangiato, e Rea soffiò in lui la vita.
ATREO - TIESTE
Quando i Micenei seppero da un oracolo che dovevano scegliere come re un figlio di Pelope, fecero chiamare i due figli Atreo e Tieste e si decise che sarebbe diventato re colui che possedeva l' agnello d' oro; Tieste che teneva l'agnello d' oro, datogli dalla moglie di Atreo, Erope, segretamente amante di Tieste, di nascosto, diede l'agnello d' oro a Tieste che divenne re, poichè, a Micene, colui che possedeva l'agnello diventava sovrano.nAtreo dovette andare in esilio . Zeus non volle permettere ciò: mutò il corso delle stelle e fece sorgere il sole a ovest e tramontare a est. I Micenei compresero di aver sbagliato, pertanto la consacrazione a re di Tieste doveva essere annullata. Atreo ritornò a Micene e per vendicarsi del fratello fece quello che aveva già fatto il nonno Tantalo, uccise i figli di Tieste: Aglao, Orcomeno e Callileonte, li tagliò a pezzi, li fece bollire in un calderone alla presenza di Tieste, quindi invitò il fratello a mangiare quasi volesse festeggiare il suo ritorno.Quando Tieste ebbe mangiato con grande appetito, Atreo fece portare dai servi le teste sanguinanti dei bambini, i loro piedi e le loro mani, disposti su un altro piatto, affinchè Tieste capisse quale sorta di cibo avesse mangiato. Tieste si rotolò per terra, vomitando, e lanciò una maledizione sulla discendenza di Atreo"(17).
CLIMENO
Climeno ebbe un' incestuosa passione per la figlia Arpalice; dopo averla sverginata, la sposò ad Alastore; poi riprese la figlia. Arpalice, per vendicarsi, assassinò il figlio dhe aveva avuto da Climeno e che era anche suo fratello, ne fece cuocere le carni e le servì a Climeno. Gli dei la trasformarono in un uccello da preda e Climeno si impiccò.
DONNE ARGIVE
Quando tutta la Beozia ebbe accettato il culto di Dioniso, il dio si recò nelle isole dell' Egeo spargendo "gioia e terrore ovunque", quindi si recò a Nasso dove incontrò Arianna abbandonata da Teseo e la sposò; da Nasso si recò ad Argo dove Perseo si oppose a Dioniso e uccise molti suoi seguaci. Dioniso lo punì facendo impazzire le donne che cominciarono a divorare crudi i loro bambini: Perseo, allora, ammise la propria colpa e placò Dioniso facendo costruire un tempio per il dio.
La coltivazone della vite, che avrebbe avuto origine a Creta, si diffuse in Europa, in Asia e in Africa settentrionsle; attraverso la Persia giunse in India. La dea Era odiava Dionisio e furono ostili al dio Licurgo, Penteo e Perseoche si opposero alle Menadi e all' uso rituale del vino; ma alla fine del settimo secolo a.C. e l' inizio del sesto secolo a. C. diversi tiranni, quali Periandro tiranno di Atene, Clistene tiranno di Sicione e Pisistato tiranno di Atene, approvarono il culto a Dioniso, istituirono feste ufficiali in suo onore e si sostenne che il vino era stato accettato anche dagli dei.
AGAVE
"Sono io, Madre", supplica Penteo accarezzando le gote della Madre "sono il figlio tuo, che partoristi nella casa d' Echione. Madre, abbi pietà di me non uccidere il figlio tuo" , Agave, posseduta da Dioniso, con la bava alla bocca, le pupille stravolte, priva di senno, ormai totalmente posseduta da Dioniso, si scaglia sul figlio, ne afferra il braccio sinistro, punta i piedi contro il suo costato e gli svelle l' omero, mentre la sorella, Ino, strappa le carni; la turba delle Menadi si lanciò più veloce d' un volo di colomba, guidate da Autonoe, squarciano le carni: chi una spalla, chi un piede, con le mani insanguinate tirano brandelli di carne dell' infelice, "come giocassero a palla;" brandelli di carne sono sparsi sulle dure rocce e tra le macchie della selva. La Madre, afferra il capo dello sventurato, lo configge in cima al tirso "come fosse la testa di un leone montano" e se lo porta per tutto il Citerone, convinta di aver ucciso una tremenda belva.
Mentre le Menadi e le sorelle di Agave, si abbandonano alle danze, Agave, con la mente sconvolta dal delirio, si dirige verso Tebe, esibendo la testa del figlio, come se fosse un trofeo, vantando la forza con cui lei e le sue sorelle hanno ucciso una belva durante una battuta di caccia, evocando Dioniso quale "consorte di caccia". Giunta alla reggia, mostra trionfante quella che lei crede sia la testa di un animale feroce; ma il padre Cadmo, invita la figlia a fissare lo sguardo verso il cielo e le chiede, con calma di chi sia la testa che svetta in cima al tirso. Agave riacquista, lentamente, la sua lucidità e riconosce che la testa è quella del figlio. Svanito il raptus della follia, la Madre assume consapevolezza che lassù sul Citerone, ha ucciso il figlio, "l' unico germoglio del suo grembo."
Lo sbranamento di esseri umani da parte delle Menadi, può esere considerato come espressione di un' opposizione, estremamente violenta, al ruolo imposto alle donne: gli sbranamenti degli uomini per opera delle baccanti testimoniati nei riti dionisiaci esprimono l' odio verso i maschi. La follia che spinge Agave a sbranare il figlio, può essere l'invidia della Madre nei confronti del figlio che governa la città oppure come opposizione al sovrano che, quale somma autorità dello Stato, intende imporre il suo potere alla città; cioè si può interpretare il mito come scontro tra lo Stato e coloro che vi si oppongono in nome di una legge "di carattere divino.
I riti dionisiaci costituiscono un momento di sovvertimento e sono espressione delle forze istintuali che sopraffanno la mente sino ad oscurarla. Si può, quindi, conasiderare il dionisiaco come l' insieme degli impulsi degli esseri umani quando si scatenano,distruggendo ogni controllo. Come ha evidenziato Dodds, è probabile che un tempo, le Menadi perdessero la propria personalità umana, per assumerne, temporaneamente, un' altra e, tale stato di ebbrezza, è accentuato dalla danza che si espande come un fuoco, quando Dioniso sobilla le Baccanti.
Agave e le altre Menadi ascoltano la voce del Dio che chiede vendetta contro Peneo che si oppone alle orge delle Baccanti; in quel momento tra cielo e terra balena l' abbaglio dì una fiamma sacra; l' aria è immobile, nella valle le foglie degli alberi sono tacite. Le Baccanti quando odono la voce di Dioniso si rizzano subito in piedi, sbarrano le pupille, e si abbandonano all' orgia: non riuscendo a sradicare il pino sul quale si trova Penteo,Agave, completamente in delirio, ordina alle Menadi di afferrare il tronco per far cadere la belva che si trova sulla pianta.
Agave, dopo il delitto abbandona la città di Tebe, si reca nell' Illiria e si sposa con il sovrano Licoterse, ma quando viene a sapere che i genitori Cadmo e Armonia si dirigono verso l' Illiria con un esercito , uccide il marito e dà il regno al padre.(18)
MEDEA
Medea, figlia del re Eete incontra Giasone ed è travolta da una violenta passione per l' eroe greco; dopo averlo aiutato ad impossessarsi del vello d' oro, fugge con lui. Durante la fuga uccide il fratellastro Apsirto e lo taglia in tanti pezzi che getta nel fiume Danubio allo scopo di ostacolare l'inseguimento del padre che è costretto a fermarsi, per recuperare ogni pezzo del figlio per poterlo seppellire.
Dieci anni dopo il ritorno in Grecia, Giasone decide di lasciare Medea per sposare Glauce figlia di Creonte; Medea ricorda a Giasone il giuramento che aveva fatto di essere sempre fedele; Giasone sostiene che il giuramento non è valido, poichè è stato pronunziato per forza; Medea finge di essere rassegnata e manda a Glauce, per mezzo dei suoi figli, quale dono di nozze una corona d' oro e un manto bianco.
Appena Glauce indossa il manto, si levano fiamme indomabili che bruciano la giovane e il padre che cercava di soccorrerla.
Medea per vendicarsi di Giasone perr l'offesa ricevuta, uccide i figli, consapevole che, privando il marito della sua discendenza, gli procurerà il dolore più atroce; Medea si oppone alla richiesta del marito di poter seppellire i figli e gli impedisce di abbracciarli; quindi si dilegua sul carro alato con le spoglie dei figli.
Medea esprime in modo esemplare il conflitto che la dilania: l' amore per i figli e il desiderio di vendicarsi di Giasone spergiuro: Su prendi la spada povera mano mia, prendila e va a questo abbrivio tragico, non essere vile, non ti sovvenga dei tuoi figli, quanto ti sono cari e come tu li partoristi; nel breve tempo di questo giorno scorda i tuoi bambini, piangerai dopo. Tu li ucciderai, ma ti furono tanto cari e io non sono che una donna sventurata" (19); Medea è travolta dalla passione e uccide i due figli consapevole del terribile gesto che compie ; secondo altre versione, i figli erano 14, sette maschi e sette femmine; Zeus, ammirato per il coraggio di Medea, se ne innamorò, ma Medea lo respinse, Era gliene fu grata e promise a Medea che avrebbe reso immortali i suoi figli se li avesse sacrificati sull' altare del suo tempio. Medea obbedì e poi fuggì sul cocchio trainato da alati serpenti.
AGAMENNONE
Agamennone attendeva in Aulide che le navi potessero partire per giungere alla piana di Ilio con l’esercito acheo, ma dopo tre mesi, il mare era sempre in bonaccia, Agamennone si rivolse a Calcante che ricordò al sovrano che aveva ucciso un cervo offendendo la dea Artemide e aggiunse che ora la dea volevacheil sovrano sacrificasse la figlia Ifigenia che venne da Micene; giunta in Aulide salì sull’altare, ma, in quel momento, Artemide avvolse Ifigenia in una nuvola, sostituì la giovane con una cerbiatta e la trasportò nel Cheroneso taurico, dove fu subito eletta grande sacerdotessa; solo lei poteva toccare la sacra immagine della dea.
PROCNE
Tereo figlio di Ares, sposò Procne, sorella del re di Atene, dalla quale ebbe un figlio Iti. Purtroppo Tereo si innamorò di Filomela, figlia minore di Pandione re di Atene, rinchiuse Procne in una capanna e sposò Filomela e la costrinse a giacere con lui prima del matrimonio.
Tereo fece tagliare la lingua a Procne e la segregò nel quartiere degli schiavi; ma Procne riuscì a inviare a Filomela un messaggio che diceva “Procne si trova tra gli schiavi”. Intanto un oracolo avvertì Tereo che sarebbe morto ucciso daun congiunto; Tereo, temendo che fosse il fratello lo uccise a tradimento con un colpo d’ ascia.
Filonela lesse il messaggio, si recò nel quartiere degli schiavi e liberò Procne che prese il figlio Iti, lo uccise, lo sventrò e lo fece bollire in un calderone di rame per darlo in pasto a Tereo.
Tereo, quando si rese conto di aver mangiato la carne di suo figlio, inseguì le due sorelle per ucciderle, intervennero gli dei che trasformarono tutti e tre in uccelli; Procne divenne una rondine, Filomela un usignolo, Tereo una upupa, altri dicono che Tereo venne trasformato in un sparviero.
INO
Atamante, fratello di Sisifo e di Salmoneom innamoratosi di Io, figlia di Cadmo, la condusse nel suo palazzo dove Io generò due figli Learco e Malicerte; ma Era odiava Atamante, perchè d’ accordo con Ino, aveva accolto il piccolo Dionisio e lo teneva nel suo palazzo vestito da fanciulla; la dea fece impazzire Atamante che afferrò l’ arco e scoccò la freccia uccidendo Learco e fece a pezzi il corpo.
Allora Inò prese Melicerte e si gettò nel mare con il figlio.
COMMENTO
I miti che narrano l’uccisione dei figli, probabilmente, sono veritieri, considerato che, non solo in Grecia, l’abbandono dei figli, o la loro uccisione era frequente per vari motivi: per timore di perdere il potere, per vendetta, per sacrificio agli dei; inoltre la legislazione non condannava l’uccisione come invece avviene attualmente. Le stesse divinità uccidono i figli: Esiodo, nella Teogonia, afferma che Crono ingoiava i figli appena nati, temendo di essere ucciso da uno di loro per avere il potere: “Rea poi, unitasi a Crono , partorì illustri figli.......ma questi li divorava il grande Crono, appena ciascuno/ dal ventre della sacra madre ai suoi ginocchi arrivava” e escogitava questo perchè aveva saputo da Gaia e da Urano che sarebbe stato vinto da un figlio” (21).
Infine i bambini potevano essere uccisi anche per sacrificarli agli dei. Tali uccisioni non erano praticate non solo dai Greci, ma anche da altri popoli; ricordiamo che a Roma la legge di Romolo aveva stabilito che il padre poteva uccidere sino a tre figli, se ne uccideva di più perdeva la patria potestas, i figli potevano essere uccisi se avevano un’ età inferiore ai tre anni e se erano deformi; le figlie potevano essere uccise solo se non erano primogenite; inoltre, i figli potevano essere abbandonati lungo le rive del Tevere o nel Foro Olimpico. Appena nato il bambino era deposto per terra per simboleggiare la venerazione per la Madre Terra; se il padre lo prendeva in braccio e lo sollevava in alto per indicare che lo riconosceva come suo figlio e lo lasciava in vita; la madre non poteva intervenire, la decisione spettava solo al padre.
In Grecia la legislazione di Licurgo e di Solone consentivano l’ infanticidio, entro il quinto giorno dalla nascita l’ uccisione del figlio era consentita, soprattutto, per le bambine, pooichè erano un peso per la famiglia dovendo avere una dote; a Sparta gli anziani potevano decidere di uccidere un bambino se era deforme.
Con l’ avvento del Cristianesimo l’ infanticidio è vietato: Costantino vieta l’infanticidio nel 318 a.C. ; nel 374, Valentiniano dispone di allevare tutti i figli; ma solo con l’ Illuminismo interviene lo Stato e viene promulgata la legge che pone il divieto all’ infanticidio; per quanto riguarda l’ Italia il codice Zanardelli definisce l’ infanticidio “omicidio volontario”; il codice Rocco, emanato nel 1935 prevede delle sanzioni e stabilisce che sussistono delle attenuanti se l’ infanticidio avviene per “motivi di errore”, infine l’ attuale Codice penale che se la madre provoca la morte del neonato in condizioni di abbandono “materiale e morale” connesse al parto è punito con la reclusione da quattro a dodici anni (articolo 578): “parto o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto è punita con la reclusione da quattro a dodici anni”; se invece il figlicidio si verifica successivamente o non sussistono le motivazioni previste, trattasi omicidio e viene applicato l’ articolo 575: “ Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore a ventun anni”. L’ art. 578, pertanto, prevede delle attenuazioni alla colpevolezza della madre solo se l’ infanticidio è compiuto subito dopo la nascita del bambino.
APPENDICE STORICA.
DALL’EPOCA MICENEA AL MEDIOEVO ELLENICO.
CRONOLOGIA:
MEDIO ELLADICO 1900-1550 a.C., insediamenti pre-indoeuropei, CULTURA
PREVALENTEMENTE CONTADINA, produzione pregevole di ceramiche, tombe a fossa con
ricchi corredi di armi.
TARDO ELLADICO dal 1550 a.C., prima ondata migratoria indoeuropea (forse contemporanea a
quella degli Ittiti in Anatolia, attuale Turchia) della popolazione MICENEA, civiltà guerriera basata
sulla caccia e la guerra: PERIODO DELLA CIVILTA’ MICENEA dal 1550 al 1250/1200 circa.
MIGRAZIONE DI ACHEI – IONI – EOLI.
LA GRANDE MIGRAZIONE E IL MEDIOEVO ELLENICO: dal 1200 a.C. circa ha inizio la
GRANDE MIGRAZIONE di popolazioni indoeuropee, dal Mediterraneo orientale, alla penisola
italica alla Mesopotamia, all’Ungheria, al confine dell’Egitto. Determina il crollo della civiltà
micenea in Grecia e l’inizio del MEDIOEVO ELLENICO (fino al X-IX sec. a.C. circa).
Insediamenti in Grecia di: Dori (Peloponneso), Ioni (Attica - Eubea), Eoli (isole).
QUADRO DELLE POPOLAZIONI:
1. Sostrato preindoeuropeo, cultura e religione contadina-matriarcale
2. Primo insediamento indoeuropeo miceneo, cultura e religione guerriera a patriarcale, con assimilazione della precedente cultura pre-indoeuropea
3. Secondo insediamento indoeuropeo dorico e ionico, cultura e religione guerriera e patriarcale, ma con sostanziali differenze tra cultura dorica e cultura ionica (che presenta assimilazione della cultura e dei costumi di area orientale)
CIVILTA’ MICENEA
CENTRI: MICENE, TIRINTO, ARGOLIDE, ATTICA (ATENE).
AREA: GRECIA CENTRALE E PELOPONNESO
.
LA GRANDE MIGRAZIONE INDOEUROPEA DEL 1200 a.C.
La spinta avviene dalle pianure ungheresi, per causa sconosciuta, generando migrazioni lungo differenti direttrici: i Frigi in Asia Minore (attuale Turchia), i Traci verso Asia Minore (“invasione delle tribù tracie in Anatolia”), i Dori in Grecia (“migrazione dorica”), gli Italici verso la penisola italica.
Correnti migratorie in Grecia:
1. Dori
2. Greci nord-occidentali
La “migrazione dorica è un fenomeno di ampia portata, con direzione dal nord della Grecia verso sud, che si è prolungato probabilmente per almeno un secolo, ha interessato in particolare l’area del Peloponneso orientale e meridionale, distruggendo la civiltà micenea –ormai già in declino- ivi stanziata: Argolide, regione di Corinto, Creta, isole dell’Egeo, Laconia, Cicladi meridionali, Sporadi
La popolazione achea di fuse lentamente con quella dorica.
“Migrazione dei Greci nord occidentali”: Grecia settentrionale e centrale (Tessaglia, Etolia, Focide),
Peloponneso settentrionale (Acaia, Elide), Beozia.
Il risultato della Grande Migrazione fu una trasformazione radicale del tessuto etnologico del mondo antico.
L’Attica sembra aver resistito alla pressione delle ondate migratorie: in Attica vi erano insediamenti micenei e dai miti sembra che siano restati incolumi dall’invasione dorica.
Dal X secolo partono ondate migratorie, doriche, ioniche ed eoliche, dalla Grecia verso l’Asia Minore.
Non si hanno notizie attendibili della vicende greche del terza e del secondo millennio, si comincia, gradualmente, ad avere dati solo dopo che è stata acquisita la scrittura i documenti più antichi sono gli elenchi dei vincitori di Olimpia (che inizia nel 776 a.C.) e la lista spartana degli efori che inizia nel 744-753 a. C.). Tutte le date anteriori all' VIII secolo a. C. Sono da considerarsi approssimative. E' estremamente difficile stabilire le date della seconda metà del III millennio e per tutto il II millennio ; come esempi come la migrazione dorica e la colonizzazione delle coste dell' Asia Minore non possono essere indicate con date precise.
Per quanto attiene la cronologia del area dell'Egeo è importante la cronologia egiziana; la Storia dell' Egitto inizia verso il 2900 quando s inizia la prima dinastia con il re Menes; la cronologia egiziana è importante per stabilire le fasi della storia cretese che è suddivisa : Antico Minoico, Medio Minoico, Tardo Minoico e divisa ulteriormente in nove sotto gruppi; anche la storia ellenica è stata divisa in tre ripartizioni: Antico Elladico. Medio Elladico, Tardo Elladico Tenendo conto delle dinastie dell' Egitto si può stabilire che l' Antico Minoico comprende il periodo dal 2400 al 2000; il Medio Minoico eil Medio Elladico ha origine l' età del bronzo dell' Egeo; alcuni reperti in bronzo rinvenuti in Egitto consentono di datare il Medio Minoico intorno al 1800 ; occorre anche tener conto che è situabile al XVII secolo a. C. Di un coperchio in alabastro con il "!cartiglio del re degli Hyksos Khyan trovato tra le macerie del più antico palazzo di Cnosso distrutto da un incendio". Il Tardo Minoico ha inizio presumibilmente verso la metà del XVI secolo la data è abbastanza sicura per la . In base ai vasi in pietra egiziane rinvenuti a Creta è possibile stabilire una datazione verso il 1450-1400.relazione esistente fra il Tardo Minoico il periodo delle tombe a fossa nell' Ellade. Occorre anche considerare ; nel 1400 o poco dopo i più recenti palazzi cretesi furono distrutti.
La cronologia greca l' Antico Elladico comincia verso il 2500 a:C. e si conclude nel periodo intorno al 2000/ 1900 a: C. Mentre l' età di Dimini si deve collocare prima della metà del III millennio (Dimini era un abitato fortificato che comprendeva anche un megaron; sono stati ritrovati vasi, spesso tondeggianti con motivi a spirale, a scacchiera e a meandri); Nel Medio Elladico, dal 1490 circa al 1550 a. C., probabilmente giunsero in Grecia gli Indoeuropei che introdussero il culto di Zeus, il Dio del cielo, e Marte, il dio della guerra (secondo gli studi di Dumezil); nel Dio del cielo gli Indoeuropei vedevano una "personificazione della natura onnipotente; Zeus era considerato "tutrice
dell' ordine umano, della famiglia e della blanda associazione statale riuniva persone accomunate da un ceppo di origine e da una lingua (Benston, p.59). L’ immigrazione indoeuropea non è stata un processo unitario, ma fu una diffusione continua e graduale di tribù e di gruppi e interessò, nel corso del II millennio, l' area che comprende la penisola italiana, i Balcani e la Grecia.
Dopo l' arrivo degli Indoeuropei si verificò un' assimilazione con la popolazione contadina locale; è probabile che le condizioni di vita esistenti si mantennero invariate nell' epoca, del Medio Elladico.
NOTE
1) Vico,La Scienza Nuova, Degnità XXVII, p.Bompiani,
2) Croce, La filosofia di G. Vico, Laterza, p. 57;
3) Croce, La filosofia di G. Vico, Laterza, 257;
4) Croce La filosofia di G. Vico, p.65;
5) Vico, op.cit., p. 871;
6) Vico,, op.cit. p. 911;
7) Vico, op. cit. p. 916;
8) Vico op. cit. p. 919;
9) Vico, op. cit.p. 985;
10) Vico, op. cit.p. 895;
11) Cassirer, Saggio sull’ uomo, Armando Editore, p. 153:
12) Cassirer, op., cit., p. 154;
13) Otto, Il mito, Il Melangolo, p.53;
14) Otto op., cit., p.75/76;
15) Otto, op., cit. p.74;
16 Graves, I miti greci, Longanesi, 1999;
18) Euripide, Le Baccanti, Feltrinelli, 2020;
19 ) Euripide, Medea, Feltrinelli, 2016,vv. 1243-1250;
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