BENJAMIN: Anima inquieta del '900

WALTER BENJAMIN: UN’ANIMA INQUIETA

PARTE PRIMA
 WALTER BENJAMIN A SANREMO


NOTAZIONI BIOGRAFICHE

Walter Benjamin nasce a Berlino nel 1892, da una famiglia ebrea benestante; giovanissimo fa parte del “Movimento della gioventù tedesca”, ma se ne allontana alla vigilia della prima guerra mondiale, poiché il movimento aveva assunto posizioni favorevoli alla guerra, mentre Benjamin era contrario alla partecipazione al conflitto. Frequenta l’Università dapprima a Friburgo, successivamente a Berlino ed a Monaco, infine a Brema dove si laurea nel 1919.
Nel 1915 conosce Gershom Scholem con il quale stringe rapporti di amicizia duratura, come è evidenziato dalla fitta corrispondenza intercorsa tra Benjamin e Scholem e dagli scritti che quest’ultimo ha dedicato a Benjamin; si segnala, in particolare “Storia di un’amicizia” che costituisce, indubbiamente, lo scritto più significativo del rapporto profondo, ma anche ricco di contrasti che intercorse tra i due uomini.
Nel 1917 sposa Dora Sophie Pollak dalla quale ha un figlio, Stephan; la coppia divorzierà, successivamente, in seguito alla relazione di Benjamin con Asia Lacis, regista sovietica conosciuta a Capri nel 1924.
Dopo aver conseguito la laurea, su sollecitazione del padre torna a Berlino; si dedica ad attività di tipo editoriale; in particolare fonda una rivista: “Angelus Novus” ma con scarsi esiti, pubblica saggi critici e teorici, si occupa di traduzioni (Baudelaire e Proust) e riflette sul significato del lavoro del traduttore.
Tra il 1923 ed il 1925 compone un testo sul dramma barocco tedesco per ottenere la libera docenza all’Università di Francoforte; ma, quando presentò la prima parte del suo lavoro al prof. Franz Schultz, ordinario di letteratura tedesca, che, inizialmente, l’aveva incoraggiato a scrivere l’opera, il docente cercò di persuaderlo ad abbandonare l’impresa ed a proseguire le sue ricerche nel campo dell’estetica; anche il docente di estetica Hans Cornelius, non apprezzò lo scritto di Benjamin che fu indotto a ritirare il suo lavoro e la domanda presentata per ottenere la docenza.
L’opera venne, poi, pubblicata nel 1928, ma non ebbe nessuna risonanza e non fu recensita da alcuna rivista di storia letteraria.
Intanto G. Scholem, trasferitosi in Palestina nel 1923, sollecitò ripetutamente Benjamin a trasferirsi anch’egli, ma Benjamin non si deciderà mai a lasciare l’Europa (torneremo più avanti su questa vicenda rilevante nella vita di Benjamin).
A partire dal 1924, anche per influenza di Asia Lacis, si avvicina al marxismo e, tramite la regista sovietica, conosce Bertold Brecht con il quale stringe rapporti di amicizia.
Riveste particolare rilevanza nella vita di Benjamin il soggiorno a Mosca (dal dicembre 1921 al gennaio 1927 e nel 1929), del primo soggiorno ha lasciato un diario che costituisce una significativa testimonianza del travaglio interiore e della profonda inquietudine che lo tormentava, oltre che un documento essenziale per comprendere l’atteggiamento critico che Benjamin aveva nei confronti dell’esperienza comunista in U.R.S.S.
Benjamin, pur non iscrivendosi mai al Partito Comunista, s’impegna tra gli intellettuali comunisti ed entra in rapporti con gli  esponenti della Scuola di Francoforte: Horkheimer  e Adorno con i quali ebbe un fraterno e profondo rapporto spirituale.
Successivamente, Benjamin lavora alla traduzione di Proust, scrive articoli e recensioni, progetta la stesura dei Passages parigini. Con l’avvento del nazismo si rifugia a Parigi dove vive in condizioni di gravi difficoltà finanziarie e soggiorna anche a Sanremo, a Svendborg (in Danimarca, ospite di Brecht) ed a Ibiza.
Nel 1940, dopo l’occupazione tedesca della Francia, lascia Parigi e si dirige verso la Spagna, per rifugiarsi negli U.S.A.; giunto a Port Bou, in circostanze drammatiche Benjamin muore, mentre i suoi compagni di fuga riusciranno ad entrare in Spagna.
Come evidenzia G. Scholem nel suo scritto,” Walter Benjamin e il suo angelo”, gli interessi filosofici di Benjamin si snodano in due direzioni: la filosofia del linguaggio e la filosofia della storia. Il primo settore di ricerca trova espressione nelle numerose recensioni, nei saggi, nell’opera “Il dramma barocco tedesco”, mentre gli interessi verso la filosofia della storia conducono Benjamin a comporre alcuni scritti particolarmente significativi tra cui “Tesi di filosofia della storia”, composto tra la fine del 1939 e la primavera del 1940.
Nell’opera succitata Scholem evidenzia pure l’intima irrequietezza ed insoddisfazione che agitava l’animo di Benjamin, irrequietudine che si manifesta in continui viaggi; anche se alcune città costituiscono tappe fondamentali del suo peregrinare: Parigi, Ibiza, Sanremo.

WALTER BENJAMIN A SANREMO

Benjamin venne una prima volta a Sanremo nell’autunno del 1934/gennaio 1935; successivamente, nel luglio-agosto 1937 ed infine nel gennaio 1938 (di questi soggiorni abbiamo conoscenza grazie alle lettere che Benjamin ha inviato ai suoi corrispondenti).
Benjamin venne a Sanremo perché qui l’ex moglie aveva aperto una pensione, e la moglie, consapevole delle difficoltà in cui Benjamin si dibatteva, gli aveva scritto nel luglio 1934 che l’avrebbe ospitato volentieri.
In una lettera inviata ad Horkeimer nel novembre 1934, Benjamin evidenzia, che essendo venuta meno la possibilità di svolgere il suo lavoro giornalistico, ha deciso di andare a Sanremo, anche se tale trasferimento ostacolerà la realizzazione del libro su Parigi a cui sta lavorando da anni.
«Per quanto questo lavoro (quello relativo al libro su Parigi) esiga urgentemente la mia presenza a Parigi, non posso che rallegrarmi del fatto che, avendo la mia ex moglie aperto una pensione sulla Costa Azzurra, mi si offre la possibilità di esservi ospitato per uno o due mesi ... sono solo uno o due mesi che ho ancora dinanzi a me come una sorta di periodo di tregua».
Il soggiorno a Sanremo venne deciso, quindi, non solo per le difficoltà economiche, ma anche per riflettere se recarsi o meno in America, dove Horkeimer gli aveva offerto la possibilità di lavorare per il suo libro.
Benjamin lasciò Sanremo nella primavera del ’35, vi ritornò nel luglio del 1937; durante il suo soggiorno si dedicò allo studio delle opere di Jung «per individuare i rapporti tra psicoanalisi e nazismo» ed iniziò un nuovo lavoro su Baudelaire.Infine tornò nella nostra cittadina nel gennaio  del ’38 per una permanenza di circa venti giorni; in questa ultima occasione incontra, nella pensione dell’ex moglie  “poco prima che chiudesse i battenti”, il cugino Theodor Adorno, a Sanremo con la moglie Gretel in procinto di partire per l’America, dove si era già trasferito Horkheimer: pur nell’angoscia del momento, Benjamin e Adorno si dedicano alle ricerche che andavano conducendo; Adorno, infatti, stava elaborando le sue riflessioni su Wagner; mentre Benjamin proseguiva le sue indagini per comporre un saggio su Baudelaire.
I colloqui avuto a Sanremo, sono ricordati da Benjamin in una lettera inviata a Gretel Adorno, nel luglio del 1938, quando Benjamin si trovava in Danimarca dove si era recato nel giugno del 1938 ospite di Brecht.
«In giugno ho impacchettato le mie quattro cose e ora da un mese sono in Danimarca, siedo davanti a uno spazioso tavolone massiccio in una mansarda, alla mia sinistra la riva del mare e il silenzioso e stretto Sund, che sulla sponda opposta è delimitato dal bosco. Vi è un relativo silenzio; il rumore delle barche che passano è tanto più gradito in quanto ti permette di sollevare di tanto in tanto la testa dal tavolo e di vedere davanti agli occhi. Accanto c’è la casa di Brecht; ci sono due bambini ai quali voglio bene; la radio; la cena, l’accoglienza più cordiale e dopo cena una o due lunghe partite a scacchi».
Benjamin scrive a Gretel che sta proseguendo il suo lavoro su Beaudelaire e sviluppando alcune delle categorie fondamentali dei Passages; tra esse occupa “posto quella del il primo nuovo e del sempre uguale “ di cui aveva discusso a Sanremo; parimenti nella lettera inviata ad Adorno nel dicembre 1938 da Parigi, Benjamin torna ad accennare ai colloqui avuti a Sanremo “memore dei nostri colloqui di Sanremo”.
Dalle lettere che Benjamin e Adorno si scambiarono nel corso del 1938, possiamo arguire il senso delle discussioni dei due pensatori: la possibilità, o meno, di utilizzare le categorie del materialismo dialettico nelle indagini estetiche. Adorno si dimostra piuttosto scettico su tale possibilità e scrive a Benjamin che l’intero lavoro su Baudelaire suscita l’impressione che, nel comporlo, Benjamin si “sia fatta violenza al fine di pagare dei tributi al marxismo” per cui si è negato “i suoi pensieri più arditi e fruttuosi praticando una sorta di censura preventiva ispirata a categorie materialistiche”; mentre Benjamin era ancora convinto che le “categorie” ed il “linguaggio” del materialismo storico potessero costituire uno strumento adeguato per la sua indagine nel campo dell’estetica.
Benjamin, inoltre, a Sanremo termina un saggio su Johann Jakob Bachofen, il saggio sarà pubblicato solo nel 1954; le riflessioni su Bachofen offrono a Benjamin la possibilità di tracciare un panorama sulla letteratura tedesca.
In una lettera inviata a B. Brecht, Benjamin scrive “sto per portare a termine il mio primo lungo saggio francese: Bachofen”; analogamente scrive a Alfred Cohn di essere riuscito a concludere il saggio su Bachofen, a Horkheimer comunica, nel febbraio del 1935, di aver concluso il suo saggio su Bachofen “il primo lavoro scritto direttamente in francese” e nel gennaio del 1935 scrive ad Adorno che sta scrivendo un saggio su Bachofen in francese, saggio che doveva essere pubblicato sulla Nouvelle Revue Française (il saggio venne poi rifiutato dalla redazione della rivista).
Nelle lettere di Benjamin non vi sono esplicite indicazioni relative alla situazione politica italiana e sanremese in particolare; possiamo individuare solo qualche riferimento indiretto come ad esempio nella lettera inviata a Fritz Liels il 9 luglio 1937;  parimenti sono molto scarsi i riferimenti sulla presenza a Sanremo di altri emigrati ebrei; troviamo qualche indizio in una lettera inviata a Scholem il 26 dicembre 1934 nella quale scrive che a Sanremo “si è insediato Oskar Goldberg che ha spedito il suo allievo Casparay nei caffè e “Realtà degli ebrei” nell’edicola locale, mentre egli stesso è al Casino a mettere alla prova la sua mistica dei numeri”.
Quando Benjamin venne a Sanremo per la prima volta nell’autunno del 1934, la città era amministrata dal podestà Giovanni Guidi, che aveva assunto tale carica nell’ottobre 1933  e manterrà il mandato podestarile per sei anni, fino al dicembre 1940, quando andò combattere sul fronte albanese. Per inciso è opportuno rilevare che a Sanremo, dopo l’esperienza negli anni ’20 di un’amministrazione socialista guidata dal sindaco Domenico Cotta, si affermarono le forze conservatrici e, nel 1927, l’Amministrazione della città venne affidata al Podestà Pietro Agosti che concluse tragicamente la sua carriera politica, suicidandosi il 20 aprile del 1930 a Roma per motivi che non furono mai chiariti (forse per accuse di corruzione e, pare, di omosessualità mosso contro di lui dall’ex sindaco Carlo Bensa e dal senatore Domenico Nuvoloni).
La città era allora un centro turistico di fama internazionale, come testimonia la numerosa clientela degli alberghi più prestigiosi (Des Anglais, Cosmopolitan Europa, Centrale, Grand Hotel de Londres, Beau Séjour, Terminus, Imperiale); clientela costituita, prevalentemente, da ospiti italiani e tedeschi, ma anche da appartenenti alle più diverse nazionalità (inglesi,  americani, svizzeri, ungheresi, rumeni, spagnoli, canadesi); numerosi nel periodo ‘34/39 gli ospiti illustri, come il Ministro degli Esteri ungherese Coloman de Jenya che trascorse a Sanremo tre settimane in convalescenza nel dicembre’34 e noti esponenti del fascismo e del nazismo. Si ricorda, in particolare, Galeazzo Ciano che venne a Sanremo nel febbraio 1937 per essere testimone alle nozze del figlio di Badoglio con la figlia primogenita del senatore Nota che abitava a Villa Agnese (Solaro); il segretario generale del PNF Achille Storace che venne a Sanremo nel 1938 e, in tale occasione, Storace visitò il padiglione di Villa Ormond dove erano “ospitati” i Premi Sanremo, ed assistette all’inizio dei lavori per la ristrutturazione della Casa Littorio. Infine, dal 5 marzo al 7 aprile 1939 il feldmaresciallo Hermann Göring fu ospite di Sanremo (salvo una breve interruzione dal 13 al 22 marzo quando Göring rientrò a Berlino convocato da Hitler).
Göring alloggiò all’Hotel Royal insieme alla moglie ed al seguito; durante il suo soggiorno si recò in funivia a San Romolo, visitò il Casino e le zone più caratteristiche della città ed, infine, partecipò ad una festa sontuosa tenutasi il 26 marzo in suo onore presso il Casino.
La città conosceva una vita mondana raffinata; vi si svolgevano, anche, alcune manifestazioni di una certa valenza culturale: nel periodo ‘34/35, ai lunedì letterari, curati da Pastonchi, parteciparono tra gli altri: Renato Simoni, Giovanni Gentile, Marinelli, Luigi Federzoni; inoltre, nello stesso periodo, vennero organizzati concerti sinfonici, spettacoli teatrali e venne realizzata una stagione lirica con la messa in scena di opere tradizionali nel repertorio lirico (Fedora, Tristano e Isotta, Lucia di Lammermoor, Manon Lescaut, La sonnambula, Un ballo in maschera, La Bohème) ed altre ormai dimenticate (La Monachella della Fontana di Mulé, Granceola di Lualdi).
Si trattava, in genere, di manifestazioni organizzate a favore della clientela ospite della città alle quali, a quanto ci risulta, Benjamin non prese mai parte. Anzi,nelle lettere, evidenzia l’isolamento in cui si trova, costretto a vivere lontano dagli amici, in una città di provincia che offre scarse possibilità di contatti di carattere culturale di una qualche “significanza.
Nel gennaio 1935 scrive ad Adorno che non sarebbe rimasto a Sanremo oltre il mese di maggio, poiché non può “protrarre indefinitamente la sua presenza in questo luogo, per quanto mi sia prezioso come rifugio, perché l’isolamento dagli amici e dai mezzi di lavoro alla lunga lo trasforma in una prova pericolosa” e, in una lettera a Brecht, afferma “l’isolamento dagli uomini, dalle informazioni, dai mezzi di lavoro va spesso oltre i limiti anche del sopportabile.
A Sanremo, Benjamin  rivide il figlio e la moglie Dora Kellner, della quale Lerner Kraft delinea questo ritratto: “ Dora era veramente bella... i suoi occhi leggermente sporgenti, la sua bocca disegnata a cuore, le labbra piene ed accese, sembravano trasudare vitalità e forza di vivere”. Dora Kellner aveva sposato il giornalista Max Pollak ed il 17 aprile 1917 si era risposata con Benjamin a Berlino;.
Stefan, infatti, giunge a Sanremo nel dicembre 1934 e, a partire, dalla primavera 1935 vi frequenta la scuola e vi rimarrà fino all’autunno del 1938 quando si recherà  a Londra con la madre, anche se Benjamin avrebbe preferito che si trasferisse in Palestina presso il fratello della moglie: Vic.
In un certo senso il soggiorno a Sanremo costituì per Benjamin un momento, sia pur provvisorio, di affetti familiari; nelle lettere troviamo alcuni cenni in merito; ad esempio scrive a Fritz Liels “qui ora sono effettivamente a casa, in casa della mia ex moglie a Sanremo. Stiamo aspettando Stefan”.
I rapporti tra i due coniugi avevano conosciuto momenti di gravi tensioni, soprattutto a causa della relazione di Benjamin e Asia Lacis, tanto che nel 1929 Benjamin aveva chiesto il divorzio. Come testimonia G. Scholem “Il dissidio sulla questione della colpa con le discussioni finanziarie che ne derivavano, in base agli obblighi assunti da Walter nel 1917 con il contratto di matrimonio, diede luogo ad un processo che venne condotto con estremo accanimento da entrambe le parti;”  il processo durò parecchi mesi (giugno ’29 - marzo ’30) e fu perso da Benjamin. Non solo, ma ancora nel periodo successivo i contrasti tra i due ex coniugi perdurarono per altri tre mesi  a causa di contrasti di “ordine finanziario”.
Durante il doloroso periodo dell’esilio, i rapporti migliorarono divenendo maggiormente cordiali  e sereni ed il soggiorno a Sanremo consentì di ristabilire un’amicizia reciproca.
Benjamin rivede Dora e il figlio nel dicembre 1937 - gennaio 1938, quando soggiornò a Sanremo per l’ultima volta; “in questa occasione” come scrive a Horkheimer, in data 6 gennaio 1938, incontrò anche Adorno e la moglie: “Come lei sa, i Wiesengrund hanno potuto realizzare  il nostro vecchio piano di incontrarci nella pensione della mia ex moglie poco prima che ella chiudesse i battenti. In questo periodo è qui anche mio figlio, sono arrivato da dieci giorni e mi tratterrò  qualche giorno più dei Wiesengrund, che, purtroppo, ripartono domani”; i coniugi Adorno, infatti, si sarebbero imbarcati, pochi giorni dopo, per gli Stati Uniti.



IL PROGETTO PALESTINESE

Scholem nel suo scritto “Walter Benjamin. Storia di un’amicizia” sostiene che molteplici sono le motivazioni che hanno impedito a Benjamin di realizzare il “progetto palestinese”; innanzitutto la difficoltà di “recidere” in modo definitivo i legami con la cultura europea, in secondo luogo  la “complicatissima situazione privata”: Benjamin era legato ad Asia Lacis, la regista sovietica conosciuta a Capri nel 1924, incontrata nuovamente a Mosca durante il suo soggiorno nel dicembre ‘26/gennaio ’27 e proprio questo legame costituì il motivo principale del divorzio dalla moglie, nel 1930. Secondo Scholem le vicende familiari e, soprattutto, il legame con Asia Lacis, decisamente contraria ad un trasferimento di Benjamin in Palestina, furono i principali ostacoli all’attuazione del progetto; certamente tali vicende costituirono un grave impedimento, tuttavia, ebbe, forse un peso determinante la posizione di Benjamin sulla questione ebraica.
Costituiscono un utile indizio, in merito, due lettere del 1930, una di Scholem e l’altra inviata in risposta da Benjamin; infatti Scholem scrive a Benjamin che le motivazioni addotte per i continui rinvii costituivano, in effetti, dei pretesti per evitare di fare chiarezza sul suo intimo rifiuto dell’ebraismo; nella sua risposta Benjamin sostiene che “il nodo gordiano del suo rapporto con l’ebraismo dovrà sbrogliarsi” e che la sua decisione in merito “non si farà attendere per molto” ed evidenzia come per lui la questione ebraica sia  strettamente connessa con i rapporti di amicizia esistenti tra loro”.
Il “progetto palestinese” venne discusso tra Benjamin e Scholem a partire dal 1928-29; all’inizio del ’29, Benjamin scrisse a Scholem che si sarebbe impegnato nello studio dell’ebraico per poter svolgere un’attività accademica nel campo della letteratura tedesca e francese. Grazie all’interessamento di Scholem e del dottor Magnes era prevista una copertura  finanziaria per il soggiorno. Benjamin avrebbe dovuto studiare la lingua ebraica, ma in realtà lo studio dell’ebraico venne rimandato poiché in quel periodo Benjamin era impegnato a comporre un articolo su Goethe per l’Enciclopedia Sovietica.
Nel marzo 1928, Benjamin rispondeva a Scholem accogliendo in toto la proposta dell’amico di recarsi in Palestina, successivamente cominciò a rinviare la partenza sine die. Nel febbraio 1929 scrive a Scholem “rinvio per la seconda volta la mia venuta, correndo il rischio che tu non mi prenda più sul serio. Vi sono certo due preoccupazioni maggiori... Ed è che il lavoro dei Passages non può essere rinviato oltre. La ragione esterna è una grave malattia che ha colpito mia madre tre mesi fa, un colpo apoplettico, da alcuni giorni un minaccioso peggioramento della situazione. Non voglio essere troppo distante ed assentarmi troppo a lungo per il caso della sua morte”.
Ancora nel marzo ’29 scrive a Scholem che “eventualmente potrà recarsi in Palestina prima dell’autunno”; e nel giugno ’29 comunica all’amico che prende lezioni quotidiane di ebraico e dovunque vada “ho sempre con me la grammatica”; ma le lezioni presso il dottor Mayer vennero ben presto interrotte (Benjamin parte per un breve viaggio in Italia) e non vennero più riprese.
La partenza fu ancora rinviata, dapprima perché Benjamin era in attesa della sentenza di divorzio che venne pronunciata nel giugno 1930; vi fu un nuovo rinvio a settembre, successivamente, il progetto venne abbandonato, nel 1937 Benjamin scrisse a Scholem che desiderava recarsi in Palestina, ma in effetti tale proposito cadde nel nulla.
Riteniamo opportuno aprire una parentesi per puntualizzare la posizione di Benjamin circa la questione ebraica. Benjamin non condivideva la linea politica del sionismo di costituire uno Stato ebraico in Palestina; tale suo atteggiamento era simile a quello di altri intellettuali ebrei, tra cui H. Arendt, che erano contrari alla creazione di uno Stato ebraico e ritenevano che si dovesse creare una “patria ebraica” cioè un “ mondo comune” dove ebrei e arabi potessero realizzare le rispettive aspirazioni politiche. Per inciso rileviamo che la Arendt, quando venne creato lo Stato di Israele, considerò tale evento in modo negativo poiché riteneva che il nuovo Stato sarebbe divenuto uno strumento nelle strategie politiche e militari delle grandi potenze.
Anche Benjamin non condivideva le tesi sioniste, come si può evincere dalla corrispondenza con Scholem: l’idea di andare in Palestina era scaturita non tanto da un convincimento politico, quanto dal desiderio di chiarire il suo rapporto con il mondo e la cultura ebraica.
Forse però l’indecisione nasce da motivazioni  profonde che possono  essere individuate nell’intima somiglianza che Banjamin avvertiva tra sé e Kafka: anch’egli si sentiva un “reietto”,  un emarginato e, per tutta la vita, ha inseguito il sogno di redimere se stesso e il mondo; ma, afferma Benjamin, solo gli angeli possono avere “una quantità infinita di speranza; agli uomini ciò non è concesso. Le lettere consentono di individuare l’intima inquietudine di Benjamin che scaturisce da una condizione interiore di “profonda tristezza” e dall’intimo convincimento della fragilità umana.  

                                   
ANGELUS NOVUS

Come testimonia Scholem negli scritti: “Walter Benjamin il suo angelo” e in “Storia di un’amicizia”, l’acquerello Angelus Novus fu dipinto da Klee nel 1920; l’opera venne esposta a Monaco nel 1921; Benjamin vide, probabilmente, il quadro durante una mostra che si svolse a Berlino, sempre nel 1921, successivamente il quadro tornò a Monaco dove Benjamin lo acquistò.
Il dipinto rimase in casa di Benjamin a Berlino fino al 1933; quando egli si trasferì a Parigi, un conoscente gli portò il quadro intorno al 1935, infine, tolta la cornice Benjam  mise il quadro insieme alle poche cose che aveva deciso di portare con sé in America; il quadro venne  ereditato  da Adorno.
Il quadro affascinava Benjamin per il suo carattere enigmatico ma anche per il contenuto allegorico (il tema dell’allegoria interessò particolarmente Benjamin come possiamo individuare nell’opera “Il dramma barocco tedesco”
Alla fine di gennaio del 1922 Benjamin progettò di creare una rivista e decise di chiamarla Angelus Novus e sollecitò la collaborazione di Scholem; il progetto sembrava che potesse essere attivato, Benjamin, infatti, scrisse a Scholem di aver terminato “l’annuncio dell’Angelus,” l’uscita della rivista era prevista per la primavera successiva; ma la grave situazione finanziaria che venne a crearsi in Germania nel corso del 1923, rese impossibile la realizzazione della rivista.
Nella cultura europea del  ‘900 è ricorrente la figura dell’angelo: Rilke nelle liriche Elegie di Duino scrive:
“Quando la bilancia passa
dalla mano del mercante
a quella dell’Angelo
che, nell’alto dei cieli,
la colma e la acquieta con l’equilibrio dello spazio.
Heidegger nel saggio “Perché i poeti” afferma che Rilke,  in una lettera del 23 novembre 1935,  novembre 1935, Rilke scrive “L’Angelo delle Elegie è quella creatura in cui appare già compiuto quel rivolgimento del visibile nell’invisibile che noi ci sforziamo di attuare. L’Angelo delle elegie è quell’essere che attesta nell’indivisibile un rango più alto della realtà.”
Nelle mani dell’Angelo la bilancia acquieta le sue oscillazioni poiché “l’angelo è quella quiete soddisfatta dell’unità equilibrata di ambedue i domini in seno alla regione interiore del mondo”.
Ma la vita ordinaria dell’uomo di oggi è quella del mercante immerso nel mondo della tecnica, anzi dominato  da essa, per cui tutto diventa scambio di merce.
Solo raramente la bilancia passa dalle mani dell’Angelo a quelle del mercante, solo raramente;  “il rovesciamento” dalla dimensione dell’esteriorità alla “regione interiore del mondo”; si verifica solo quando qualcuno  “più arricchito” si apre alla dimensione del “sacro.” L’angelo delle liriche di Rilke ha perduto il carattere tipico dell’angelo della tradizione simbolica secondo la quale esso è messaggero di Dio ma è, forse, più simile al demone di cui parla  Platone nei suoi dialoghi; in particolare Platone nel Simposio e nel Fedro considera l’amore come un “demone” che pone in comunicazione il mondo “terreno con il mondo celeste”.
Scrive in merito Robin “tra il mondo di quaggiù e il  mondo superiore ... Platone pone degli intermediari affinché ... l’inferiore possa partecipare del superiore, senza che la purezza di questa ultima  ne venga in qualche modo alterata. Questi intermediari sono i demoni, essi assicurano ad ogni essere dipendente la realizzazione del suo fine essenziale, purché questi non opponga resistenza”.
Per Platone, quindi, l’amore conduce verso l’assoluto: verso il “mondo delle idee” una realtà che “esiste veramente scevra di colore, di forma, intangibile che solo il pilota dell’animo, l’intelletto può contemplare”.
Si tratta quindi della presenza in noi, nel profondo del nostro io, di una creatura angelica che è  in contrasto con la creatura terrena alla quale è unita.
I rapporti tra Benjamin ed il suo “angelo” possono essere individuati nel breve scritto Agesilaus Santander del quale possediamo due redazioni, la prima composta a Ibiza nell’agosto del 1933, la seconda scritta, sempre a Ibiza, il giorno successivo.
 Angelus Santander è il nome segreto datogli dai suoi familiari al momento della nascita. Presso gli ebrei, infatti, il “nome segreto” attribuito ai figli viene usato per la prima volta al momento della pubertà, durante la lettura della Torah nella sinagoga. Ma Benjamin traspone questa tradizione a livello mistico: il nome segreto “potrà rivelarsi di colpo coll’avvento di ogni pubertà” cioè ogni volta che un’improvvisa illuminazione, consente di cogliere il nostro essere più profondo.
Se nel testo del 1933 l’angelo è “l’io celeste di ogni essere umano” nella “tesi di filosofia della storia”, l’angelo ha il viso rivolto al passato, ma, nello stesso tempo è spinto dalla tempesta: “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
La tempesta “spira dal Paradiso”,  soffia nelle ali dell’angelo impedendogli di chiuderle e lo spinge verso il futuro in modo inarrestabile, futuro a cui l’angelo volge le spalle
Raffigurazione profondamente enigmatica: l’Angelo non può guardare il futuro verso cui corre spinto dalla bufera. Forse il messaggio di Benjamin, il suo ultimo messaggio, vuole dirci che il destino è oscuro e che le forze che lo muovono ci sono ignote, il balzo rivoluzionario che potrebbe redimerla è molto simile al balzo nella trascendenza, Sia il “balzo rivoluzionario” che quello nella “Trascendenza” appartengono alla dimensione dell’utopia che, comunque, può costituire l’unico mezzo per opporsi al conformismo dominante della società contemporanea;  la salvezza è possibile se qualcuno è disposto al sacrificio.
Nel saggio Benjamin esprime il suo pensiero con una scrittura tormentata che tradisce l’intima angoscia di fronte all’incalzare degli eventi e propone una visione “messianica” della storia associando, a tale  visione, una concezione “discontinua” della storia: la discontinuità coincide con l’evento rivoluzionario. Benjamin identifica l’evento rivoluzionario con la teoria marxiana della rivoluzione; ma in realtà le sue riflessioni hanno, piuttosto, a fondamento il messianismo d’ispirazione ebraica come si può rilevare dall’ultimo paragrafo del saggio: “... E’ noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La thora e la preghiera li istruiscono invece nella memoria. Ciò li liberava dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia”.rivoluzionario”:

Anche le indagini di Benjamin relative alla lingua possono essere ricollegate al tema dell’Angelo; infatti nel saggio del 1923 “Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo” la lingua è considerata come creazione divina: “La creazione di Dio si completa quando le cose ricevono il loro nome dall’uomo, da cui nel nome parla solo la lingua”;   l’essenza dell’uomo si esprime nella lingua “...l’uomo comunica la sua propria essenza spirituale nella sua lingua,”.la lingua e, in particolare, il nome, costituisce il trait-d’union (l’interconnessione) tra l’uomo, il mondo, le cose.
La lingua assume nell’ottica di Benjamin una dimensione spirituale: “L’incomparabile del linguaggio umano è che la sua comunità magica con le cose è immateriale e puramente spirituale, e di ciò il suono è simbolo. Questo fatto simbolico è espresso dalla Bibbia col dire che Dio ha ispirato all’uomo il fiato; che è insieme vita e spirito e lingua”.
Benjamin, analizza alcuni passi della Genesi evidenziando come, il “fiat” pronunciato da Dio al momento della creazione testimoni la “profonda e chiara relazione dell’atto della creazione alla lingua. Esso  ha inizio con l’onnipotenza creatrice della lingua, e alla fine la lingua s’incorpora, per così dire, l’oggetto creato, lo nomina” e ritiene che nel paradiso terrestre si sia realizzata “la più intima partecipazione della lingua umana all’infinità divina”. 
Dopo il peccato originale la parola ha perduto la sua caratteristica propria “il nominare” per trasformarsi in “giudizio”; e il giudicare del bene e del male è “una conoscenza estrinseca l’imitazione improduttive del verbo creatore... Il peccato originale è l’atto di nascita della parola umana, in cui il nome non vive più intatto”; il vero peccato originale dello spirito  linguistico consiste nell’aver trasformato la parola, in parola giudicante ed è questa “parola giudicante: la conoscenza del bene e del male che provoca la caduta dell’uomo e la “babelica” moltiplicazione delle lingue.
Il ritorno alla condizione originaria del Paradiso terrestre non è più possibile; ma, secondo Benjamin, è possibile che la lingua riacquisti il suo carattere più proprio, quello del “comunicare” che torni ad essere per l’uomo “il modo in cui si comunica il suo essere spirituale”.



















PARTE  SECONDA

LE DIMENSIONI DELL’AMBIGUITÀ
NEI “PASSAGES” DI BENJAMIN


PRIMA PARTE

LA GENESI DELL’OPERA

Walter Benjamin si dedicò alla stesura dei "Passages" a fasi alterne, dal 1927 al 1940; l'opera non assunse mai una forma organica: i numerosi frammenti pervenuti possono essere considerati come «i materiali per la costruzione di un edificio del quale, però, è stata tracciata solo la pianta».
Gli unici testi conclusi sono: il breve saggio "Passages", pubblicato nella sezione “Primi progetti di stesura” composto verso la metà del 1927; il saggio “L'anello di Saturno o sulla costruzione in ferro” anch'esso scritto nel 1927 ed i due “Exposés” composti nel 1935 e nel 1939 che, nell'edizione italiana, sono posti all'inizio del libro. I due Exposés non erano destinati alla pubblicazione: il primo venne steso in tedesco per l'Istituto di “Ricerche sociali” di Francoforte che inserì i Passages tra i progetti di ricerca promossi dall'Istituto; il secondo fu scritto in francese, su sollecitazione di Horkheimer che sperava d'interessare una mecenate americano all'opera di Benjamin.
Per la realizzazione della sua opera, Benjamin raccolse una grande quantità di materiali e compose numerosi frammenti che vanno considerati, però, come riflessioni isolate per cui è assai difficile individuare come Benjamin ritenesse collegarle e quali intendesse inserire nel testo definitivo. Un’attenta analisi di tutti i dati disponibili consente di stabilire che i “Passages” nascono da due differenti progetti: uno ispirato alla visione surrealista, l'altro, successivo, mirante a fornire una lettura in chiave marxiana dei rapporti sociali e delle strutture economiche.
La prima fase del lavoro può essere datata alla metà del 1927, quando Benjamin intendeva scrivere un articolo sui Passages insieme a Franz Hessel per la rivista “Querschmitt”, come si può dedurre dagli appunti pubblicati nell'edizione Einaudi, sotto il titolo: "Paralipomena” appartiene pure a questo momento il breve scritto "Passages" (pubblicato, nella sezione "Primi progetti di stesura").
In due lettere inviate a Scholem, rispettivamente il 30.ottobre.1928 e il 15.marzo.1929, Benjamin ricollega la stesura dei “Passages” al surrealismo; come i surrealisti, ritiene che sia possibile «spezzare gli irrigidimenti e le incrostazioni» in cui tanto le cose, quanto il pensiero, si sono “coagulati” per individuarne i molteplici significati.
Gli appunti del progetto originario consentono d'individuare come, per Benjamin, i “Passage2s costituissero la metafora di una dimensione diversa delle cose e delle persone, di “affinità” misteriose che creano legami nuovi e imperscrutabili. “Sogno” e “Mito” costituiscono le categorie che stanno a fondamento delle ricerche che Benjamin conduce in questo periodo; come testimoniamo le descrizioni dei suoi sogni che Benjamin compone, quasi contemporaneamente, e gli esperimenti con le droghe iniziati nel 1928 e protrattisi sino al 1933. La droga produce alterazioni spazio-temporali «Per chi ha mangiato l'hascisc Versailles non è troppo grande, né l'eternità dura troppo a lungo»; una diversa percezione degli oggetti: un angolo della scrivania si trasforma in una “base navale” o in una “stazione per l'approvvigionamento del carbone”». «Il tubo della stufa diventa un gatto. Alla parola zenzero, al posto della scrivania compare improvvisamente un negozio di frutta, nel quale subito dopo riconosco lo scrittoio». «Le tende sono interpreti del linguaggio del vento. A ogni suo alito esse dio la forma e la sensualità muliebri».
Non solo, l'assunzione di droghe suscita forze “oscure sataniche”, alterazioni della personalità e della propria identità  e getta una nuova luce sulla creatività artistica «compresi d'un tratto come a un pittore - non è accaduto così a Rembrandt e a molti altri? - la bruttezza poteva presentarsi come il vero serbatoio della bellezza, o meglio come il suo scrigno come un pietrame che racchiude tutto l'oro nascosto nel bello, luccicante nelle rughe, negli sguardi, nei tratti».
La droga consente, anche, d'individuare una diversa dimensione della parola «quanto più dappresso si osserva una parola, tanto più essa ci guarda da lontano»; anche se la parola non possiede la potenza delle immagini create dall'ebbrezza della droga «la produzione di immagini può generare cose tanto straordinarie, e in modo tanto fuggevole e rapido che, a causa della bellezza e della singolarità di questo universo di immagini noi non riusciamo a prestare attenzione ad altro che a esse». 
Sovente tali immagini sono esotiche, ermetiche, come quelle della pittura surrealista: «una lunga galleria di armature con nessuno dentro, niente teste; attorno all'apertura del collo un giunco di fiamma». La ricchezza d'immagini che può essere sperimentata nelle condizioni dell'ebbrezza ha analogia con la dimensione onirica: sia il sogno che l'ebbrezza schiudono «esperienze nuove», creano «dimensioni inusitate», rivelano un universo che è inattingibile alla razionalità.
Bréton nel suo “Manifesto” sostenne che, la  potenza del sogno ed il gioco «désintéressé» del pensiero, devono sostituire il regno della logica: l'immaginazione deve riprendere i suoi diritti «l'imagination est peut-être sur le point de reprendre ses droit». Benjamin s'interessò al surrealismo: nel 1920 aveva composto un saggio sul surrealismo e nella lettera a Scholem del marzo 1929, definisce il surrealismo un «paravento teso davanti ai Parisier Passagen», ma a differenza dei surrealisti, Benjamin è convinto che sia necessario “risvegliarsi dal sogno”: il XIX secolo è il “sogno”, meglio l’incubo, dal quale occorre “risvegliarsi” spezzandone l’incantesimo. 
Nella stesura dell’opera Benjamin intendeva utilizzare un procedimento simile a quello surrealista per l’interpretazione della storia; riteneva, cioè, servendosi di un modello onirico e  di poter dimostrare la caoticità e l’«incompiutezza»» della società del XIX secolo.
I “Passages” sono una metafora della società borghese, caotica e dominata dal mito della produzione: il breve saggio “L'anello di Saturno sulle costruzioni in ferro” che appartiene al primo stadio del lavoro che Benjamin aveva in mente di realizzare, costituisce un indizio significativo del senso che l'opera avrebbe dovuto avere.
Secondo Benjamin, infatti, la smisurata fiducia, tipica del XIX secolo, nelle costruzioni in ferro, quale segno dell'inarrestabile progresso, può ben essere espressa nella figura del «piccolo folletto» che percorre un «ponte di cui non si riuscivano a vedere contemporaneamente le estremità ed i cui filoni poggiavano sui pianeti»; tale ponte portava «come una via d'asfalto meravigliosamente liscia, da un mondo all'altro. Il trecentotrentamillesimo pilone poggiava su Saturno Giunto a questo punto del suo cammino, il folletto si accorse che «l'anello intorno a quel pianeta non era altro che una balconata su cui i saturniani, la sera, andavano a prendere una boccata d'aria fresca».
L'allegoria esprime, in modo efficace, la caratteristica tipica dell'età contemporanea: lo smarrimento dell'uomo che ormai ha dimenticato la sua origine divina. Anche il breve saggio Passages, pubblicato nella sezione “Primi progetti di stesura” e gli appunti raccolti nella sezione "Paralipomena, attestano come i “Passages” siano metafore della società odierna in cui predomina l'effimero «quanto più un'epoca è effimera, tanto più si orienta secondo la moda». 
Lungo i Passages gli ambienti si susseguono in modo casuale (istituti igienici mescolati a negozi di parrucchiere, un soggiorno rischiarato da una lampada a gas accanto ad un magazzino di coccarde); nelle vetrine gli oggetti sono affastellati alla rinfusa: manuali d'amore sono mescolati a libri di cucina, sui francobolli e contenitori di caratteri "rotolano" gomitoli di spago e seta nelle vaschette da camera oscura vi è del cibo per eccelli; l'odalisca fa la posta accanto al calamaio; le "adoranti delle maglie di lana sollevano misticamente dei portacenere come calici di acqua santa».
Aragon, camminando lungo il Passage de l'Opéra, prova una sorta di vertigine in cui realtà e sogno si mescolano e, nel suo romanzo "Le paysan de Paris", vuol esprimere il senso di "vuoto" che assale l'uomo contemporaneo prigioniero di "se stesso" e delle cose; così Benjamin vuole immergersi nei "Passages" per portare in superficie significati nuovi della società e della storia, ed evidenziando come l'odierna condizione umana sia dominata da forze oscure ed enigmatiche.
«La prossima porta a vetri promette un "Petit Casino" lasciando intravedere una cassa e i prezzi dei vari posti, ma se l'aprissimo porterebbe davvero lì? Oppure invece che in un teatro finiremmo dall'altra parte, nella strada?
O in un buio simile a quello in cui ai lati, negli ingressi dei palazzi, portano tutte le scale?»
«Alle porte d'ingresso dei Passages (si possono chiamare tanto porte d'ingresso che d'uscita, dato che in quelle strane combinazioni di casa e strada ogni porta è ingresso e uscita al tempo stesso), alle porte d'ingresso si trovano, di tanto in tanto sui lati, enigmatiche targhe e iscrizioni, che si ripetono talvolta sul muro tra i negozi, dove qua e là una scala a chiocciola porta nel buio». ».
E' opportuno evidenziare come le modalità di scrittura di Benjamin anticipino il “nouveau roman”; Robbe-Grillet, infatti, sostiene che, essendo il mondo un “labirinto incomprensibile” ogni tentativo di interpretazione è destinato “à échouer”; pertanto lo scrittore ha, esclusivamente, il ruolo di "voyeur" attento a cogliere « les surposition cahotiques entre le réel e l'imaginaire», abbandonandosi «aux suggestion des images perçues, a l'évidence des objets». Secondo tali tesi, esposte nel saggio “Tour un nouveau roman” (1956), Robbe-Grillet compose i suoi romanzi: “La jalousie” (1957), “Dans le labyrinthe” (1959), “La maison de rendez-vous” (1965) e scrisse la sceneggiatura del film: “L'année dernière a Marienbad”. Nel film presente, passato e futuro, reale ed immaginario si alternano e si compenetrano; gli uomini e le donne si aggirano all'interno di un ambiente chiuso, quasi fossero dei prigionieri; le loro domande restano tutte senza risposta, anzi a volte, le frasi iniziate non sono concluse.
La scrittura frammentaria, spezzata, dei Passages (come le immagini del film) vuol esprimere come la società odierna, apparentemente ordinata, sia invece confusa in modo inestricabile simile ai Passages dove interno ed esterno si confondono.
Benjamin, presumibilmente, non intendeva comporre un'opera di filosofia storica o di sociologia, nel senso tradizionale del termine, ma procedere a una sorta di montaggio del materiale; voleva cioè, realizzare un'opera secondo modalità simili a quelle con le quali i pittori surrealisti componevano i loro dipinti allo scopo di cogliere dimensioni nuove e di distruggere le “convenzioni” dominanti.
In un certo senso si può considerare la forma di scrittura di Benjamin analoga alle tecniche del frottage che Mark Trust utilizzava nei suoi dipinti (la foresta).
La molteplicità di immagini dovevano permettere di “decifrare” la “fantasmagoria” del sec. XIX come espressione dello smarrimento dell’umanità: insomma il secolo XIX come metafora della “dannazione dell’umanità”.
Ma il primitivo abbozzo dell'opera non si tramutò in un testo definitivo; il lavoro venne interrotto nel 1929 per motivazioni sia di carattere personale, che teorico. Sl piano personale Benjamin, come possiamo desumere dalle lettere e dalla testimonianza di Scholem, stava attraversando un periodo particolarmente burrascoso a causa delle difficoltà economiche, del fallimento del matrimonio con Dora e del conseguente divorzio. Sotto il profilo teorico gli anni '30 sono caratterizzati da una profonda svolta: come scrive a G. Scholem il 20 gennaio 1939, decide prima di portare a termine il suo lavoro di studiare il Capitale di Marx «pour donner un échafaudage ferme à tout ce travail, il ne me faudra pas moin qu'une étude aussi bien de certains aspects de Hegel que de certaines parties du Kapital».
L'avvicinamento di Benjamin al marxismo, fu favorito dagli incontri con la regista Asia Lacis e con Brecht, e dai colloqui che ebbe, nell'ottobre del 1929, con Horkheimer a Francoforte; nel corso dei quali lo studioso tedesco evidenziò, come non fosse  possibile affrontare una riflessione sul XIX secolo senza tener conto dell'analisi condotta in merito da Marx.


Solo all'inizio del 1934, mentre si trovava in esilio a Parigi, Benjamin riprese a lavorare ai Passages.
Fino alla fine di giugno condusse le sue ricerche alla Bibliolthèque Nationale, a Parigi; dopo una breve interruzione durante l'estate del '34, quando Benjamin soggiornò a Svendborg ospite di Brecht, il lavoro venne ripreso durante il soggiorno a Sanremo nell'inverno 1934  scrive  a Cohn:  “ E a me come vanno le cose? In un. modo che induce a, preoccu­parsi a raccontarne in lungo e in largo a un uomo esperto della vita, come sei tu. Se qualcuno mi dicesse che la felicità consiste nel poter seguire i miei pensieri passeggiando o scrivendo, senza es­sere tormentato da preoccupazioni quotidiane, in una località stupenda - e Sanremo è davvero particolarmente bella - che cosa dovrei mai rispondergli? E se un altro mi si piantasse davanti per dirmi in faccia quanto sia miserabile e vergognoso annidarsi così nelle rovine del proprio passato, lontano dai. propri compiti, dagli amici e dai mezzi di produzione - a maggior ragione di fronte a quell'uomo tacerei. imbarazzato.
Naturalmente non sono imbarazzato davanti al da farsi quoti­diano. Ma sarebbe giunto il momento di prendere di nuovo delle decisioni a partire da una prospettiva più lontana e più globale; e questo tanto più da quando, lo riconosco, ho incominciato a rie­saminare in modo preciso e sistematico í miei studi per i Passages. ­Purtroppo non esiste la benché minima prospettiva di poter sce­gliere, in un imminente futuro, il luogo di :residenza, dovrò esse­re già contento di poterlo mutare».
La definitiva stesura venne ostacolata dalle gravi difficoltà economiche, infatti dall’Istituto di Scienze sociali di Francoforte riceveva somme molto esigue che, insieme a quanto riceveva dalla "Frankfurter Zeitung" non gli garantivano un minimo per il sostentamento; solo a partire dal maggio 1935  Benjamin ricevette somme più consistenti.
Tornato a Parigi alla fine del mese di aprile del 1935, Benjamin si dedicò con maggior impegno ai Passages; nel maggio 1935, dopo un incontro con Friedrich Pollock (vice direttore dell'Istituto di Scienze Sociali), Benjamin compose “L'exposé Parigi la capitale del XIX secolo”. L’exposé che, fu oggetto di un ampio dibattito con Adorno, venne inserito dall'istituto di Francoforte tra i lavori da essi sovvenzionati e, con il titolo “The Social History of the City of Paris in the 19th Century”, entrò a far parte del programma ufficiale dell'Istituto stesso.
Benjamin, negli anni successivi, proseguì, sia pure in modo non continuativo, i l lavoro dei Passages che, tuttavia, non conseguirono mai una forma completa; quando Benjamin lasciò Parigi nel 1940, in condizioni di «assoluta incertezza» non poté portare con sé il Manoscritto «Aux réflexions multiples qui m'obscurissent s’ajoute l'inquiétude au sujet de mes manuscrits que j'ai été forcé de laisser à Paris - ainsi que tous mes effets».
In questa seconda fase, come attesta L'exposé del 1935, e in modo maggiormente evidente, quello composto in francese, nel 1939 (scritto dietro sollecitazione di Horkheimer che sperava, in tal modo, di interessare all'opera un mecenate americano) la prospettiva marxista che, nella prima stesura è presente solo in modo rapsodico, diventa dominante.
Secondo tale prospettiva, viene evidenziato il “feticismo della merce” considerato tipico della società capitalistica; metafora di tale feticismo sono le esposizioni universali: «Le esposizioni universali trasfigurano il valore di scambio delle merci; creano un ambito in cui il loro valore d'uso passa in secondo piano; inaugurano una fantasmagoria in cui l'uomo entra per lasciarsi distrarre».
«Le esposizioni universali edificano l'universo delle merci» e «trasformano il valore di esse per scambio delle merci»; esse sono i «luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce».
Così i Passages «recente invenzione del lusso industriale»rappresentano il "trionfo" della merce; i Passages sono”una recente invenzione del lusso industriale”; anche la moda obbedisce alle leggi della produzione capitalistica; il continuo mutare delle mode è strettamente correlato al modo di produrre del capitalismo privato che «deve accrescere le sue possibilità di mercato nell'interesse del saggio di profitto».
Non sappiamo se tali temi sarebbero stati tutti inseriti nell'opera definitiva; tuttavia è significativo il tentativo di Benjamin di dare una diversa impostazione al suo lavoro, evidenziando la dimensione capitalistica della società contemporanea  individuabile nelle strutture edilizie realizzate  con il metodo Hausmann  che consiste nel tracciare strade lunghe, dirette e larghe, e nel costruire, ai lati delle strade, grandi edifici di lusso. Tale sistema costruttivo non ha solo lo scopo strategico di rendere difficili i combattimenti con barricate, ma anche quello di aprire «brecce in quartieri operai, specialmente in quelli prossimi al centro delle grandi città», il risultato è “la autocelebrazione borghesia.” Ormai si sta affermando “.il trionfo della tecnica”come attestano le costruzioni in ferro:  il Pont d'Austerlitz, una delle prime costruzioni in ferro di Parigi costituisce l'emblema dell'epoca tecnica che si avvicina; 
Benjamin interpreta il XIX secolo come il periodo in cui sono state poste le fondamenta della società di massa; essa porta con sé la sua fine e la dispiega: con crisi dell'economia mercantile, cominciamo a scorgere «i monumenti della borghesia come rovine prima ancora che siano caduti». In Benjamin l'adesione al marxismo è inestricabilmente connessa con il suo “messianismo politico”: la rivoluzione costituisce un momento escatologico, un evento di totale rottura con il passato: «la consapevolezza di scardinare il continuum della storia è propria delle classi rivoluzionarie nell'attimo della loro azione».  Parimenti nei Passages, nella  sezione “Movimenti sociali” Benjamin ha raccolto materiale relativo alle due, rivoluzioni del secolo XIX quella di Luglio e, soprattutto quella del 1848, evidenziando come l'evento rivoluzionario costituisca una «rottura» con il passato.








 IL FLÂNEUR”

Il flâneur costituisce una delle figure simboliche maggiormente significative dei Passages ; osserva Benjamin, «son oeil ouvert, son oreille tendue cherchent tout autre chose que ce que la foule vient voir». Il flàneur s'immerge nei vortici della- storia per ricreare un “tempo scomparso”: «Per lui ogni strada è scoscesa, lo conduce in basso, se non proprio alle Madri; tuttavia in un passato, che può tanto più ammaliare in quanto non è il passato suo  proprio, privato». 
Benjamin, quindi, individua l'abitudine a «viaggiare nel passato» come tipica della flânerie; ma è un viaggio che viene compiuto per immergersi in una dimensione irrazionale, in un mondo che sfugge alla "quotidianità" per cogliere significati inesprimibili nelle cose.
Il flâneur percorre le strade in una condizione di ebbrezza simile a quella di chi assume l'hascisc «chi cammina a lungo per le strade senza meta viene colto da un'ebbrezza» ed in tale stato “inebriante”; percorre i Passages, che assumono una funzione simbolica: i Passages sono simbolo della modernità, «strade sensuali del commercio, fatti solo per risvegliare il desiderio».
Nell'epoca attuale tutto è ridotto a “merce” e gli uomini, ridotti al rango di consumatori, non sono altro che “massa” indistinta; il  flâneur s'immerge nel passato per riscoprire dimensioni antiche, ma, contestualmente, per distruggere il presente; egli si pone, al di là delle categorie della modernità; il suo stesso stile di vita «ozioso», pone in discussione la società odierna; infatti "alla base della flânerie c'è tra l'altro, l'idea che il profitto dell'ozio ha più valore di quello del lavoro
Un modello di "flâneur" può essere considerato J.J. Rousseau che, passeggia solo, abbandonandosi alla "rêverie" con la testa «entièremente libre», lasciando che le sue idee segnino «leur pente sans résistence et sand géne». Il passeggiare di Rousseau nasce non solo dall’ozio, ma anche dalla contemplazione ed ha, soprattutto, lo scopo di una “discesa” nella profondità del proprio io; mentre il “flàneur” di Benjamin è un «sognare ozioso» che cerca di cogliere il senso profondo della società odierna servendosi del concetto di "fantasmagoria;" e fantasmagoriche sono le immagini della pubblicità, le esposizioni universali, la moda, l'industria del divertimento, insomma tutto ciò che costituisce il progresso e che, invece, è segno di profondo «decadimento».
Il flâneur è metafora di quell' “angelo della storia” che, nella seconda tesi del saggio sul concetto di storia, ha il volto rivolto al passato e dove noi vediamo un susseguirsi di eventi logicamente concatenati, egli scorge «un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie e le scaraventa ai suoi piedi».
Qualsiasi tentativo che l'angelo compie di ricomporre i frantumi è destinato a fallire, poiché «dal paradiso soffia una bufera che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l'angelo non può chiuderle». La bufera lo spinge, in modo inarrestabile verso il futuro a cui l'angelo “volge le spalle”, mentre il cumulo di macerie davanti a lui continua a crescere continuamente. Ciò che noi chiamiamo progresso è questa bufera. Benjamin “denuncia” l'idea di progresso non solo nell'accezione che ha assunto tale termine nella "visione del mondo" borghese, ma anche marxista (almeno nella versione propria della socialdemocrazie del secolo XIX. Nell'ottica di Benjamin la “rivoluzione” ha una dimensione “mistica”: «il Messia infatti viene non solo come il redentore, ma anche come colui che sconfigge l'Anticristo». 
(“Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «proprio come è stato davvero »'; vuole dire impossessarsi di un ricordo così come balena in un attimo di pericolo. Per il materia­lismo storico l'importante è trattenere un'immagine del passato nel modo in cui s'impone imprevista al soggetto storico nell'atti­mo del pericolo, che minaccia tanto l'esistenza stessa della tradi­zione quanto i suoi destinatari. Per entrambi il pericolo è uno so­lo: prestarsi ad essere strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla. Il mes­sia infatti viene non solo come il redentore, ma anche come colui che sconfigge l'Anticristo'. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è com­penetrato dall'idea che neppure i morti saranno al sicuro dal ne­mico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.”)

La strada scoscesa che conduce in basso il flâneur, evoca l’immagine  di Edipo che, dopo aver vagato lungamente per le contrade della Grecia, giunge nel bosco delle Eumeridi dove il destino ha stabilito che deve morire; la discesa rievoca il vagabondare del flâneur quale «licantropo inquieto che vaga nella selva sociale».
Entrambe le figure hanno rapporti con il sacro: un Dio chiama Edipo, poiché è tempo che il suo destino si compia, analogamente il flâneur percorre la strada che lo “+”.
Questa linea interpretativa può trovare conferma in alcuni frammenti dei Passages; uno di questi è la lirica di Charles Péguy: 
La tapisserie di Sainte­ Geneviève 
Sainte qui rarneniez tous les soirs au bercail
Le troupeau tout antier, diligente bergère,
Quand le mond et Paris viendront à fin de bail
Puissez-vous d'un pas ferme et d'une main légère
Dans la dernière cour par le dernier portail
Ramener par la voûte et le double vantail
Le troupeau tout entier la droite di père.
In un mondo travolto dalle «macerie » prodotte dalla società di massa e dal prevalere della tecnologia, solo l'arte può aprire alla dimensione del sacro e rendere possibile la salvezza.
Quale delle due impostazioni del lavoro meglio esprime la visione filosofica di Benjamin? Presumibilmente quella tracciata nel ‘27/29, poiché esprime quella “dimensione mistica” che sottende tutta la ricerca;  in due lettere del 1938, Adorno,, evidenzia come le «digressioni materialistiche» creano l’impressione che, nella stesura dell’impostazione del lavoro in chiave marxista, abbia impedito a Benjamin di svolgere i “pensieri più ardui e fruttuosi;”.
L’ impressione che l'intero lavoro fa, e non solo a me e alla mia concezione ortodossa dei Passages, è che in esso Lei si sia fat­to violenza [...] al fine di pagar dei tributi al marxismo, tri­buti che non si confanno né a esso né a Lei. Non al marxismo, perché manca la mediazione del processo sociale globale e alla enumerazione materiale viene superstiziosamente attri­buito quasi un potere di illuminazione che non è mai dell'in­dicazione pragmatica ma unicamente della costruzione teori­ca. Non alla Sua sostanza più specifica, in quanto Lei si è ne­gato i Suoi pensieri più arditi e fruttuosi praticando una sor­ta di censura preventiva ispirata a categorie materialistiche (che non coincidono in alcun caso con quelle marxiste);~fos­s'anche solo nella forma di un rinvio. [...]. Vi è, in nome di Dio, una sola verità, e se la Sua potenza di pensiero si impa­dronisce di quest'unica verità in categorie che secondo la qua concezione del materialismo possono apparir Le apocrife, di questa verità Lei afferrerà più che servendosi di un'armatura di pensiero di cui la Sua mano rifiuta in continuazione i ma­neggi. Alla fin fine vi è piú di quella verità nella Genealogia della morale di Nietzsche che nell'ABC di Bucharin. Penso che, formulata da me, questa tua tesi stia al di sopra del sospet­to di lassismo e di ecletticismo”.















BIBLIOGRAFIA
Bachofen, J.J., Il matriarcato, Vol. I- II, Einaudi, 1988;
Baudelaire,  Editions  du Chene-Hachette Livre, 2007 ;   Benjamin W., Angelus Novus, Einaudi, 1962;
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        in, W. ,I “Passages” di Parigi, Einaudi, Torino 2000.
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Scholem, G, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978.
Scholem, G. Walter Benjamin. Storia di un’amicizia, Adelphi, Milano 1975.
Veneziano P., Sanremo una nuova comunità ebraica nell' Italia fascista, 1937-1945, Ed. Diabasis, 2007.






NOTE

[1] G. Scholem, W. Benjamin, Storia di un’amicizia, Adelphi, Milano.
[2] W. Benjamin, Destino e carattere, 1919; Critica della violenza, 1921; Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, 1923)
[3] W. Benjamin, Il compito del traduttore, 1921.
[4] W. Benjamin, Lettere.
[5] Lettera a G. Scholem, Nizza 26.7.32, in Lettere, pag. 220.
[6] G. Scholem, Walter Benjamin ed il suo angelo, Adelphi, Milano.
[7] W. Benjamin, Sulla lingua generale e sulla lingua dell’uomo, in Angelus Novus, Einaudi.
[8] W. Benjamin, Lettere, pag. 263.
[9] W. Benjamin, Lettere, cit.
[10] W. Benjamin, Lettere, pag. 330.
[11] Lettera a Horkheimer, p. 331
[12] Adorno, Wagner, Mahler, due studi, Einaudi, Torino 1975.
[13] W. Benjamin e Kitty Marx Steinschneider, p. 35. 
[14] Lettera a Gretel Adorno, p. 352.
[15] Lettera di Adorno a Benjamin, p. 368.
[16] Lettera di Adorno a Benjamin, pag. 365.
[17] G. Scholem, W. Benjamin e il suo angelo, pagg. 92-93.
[18] Lettere, pag. 278.
[19] E. Villari, Il viaggiatore solitario e il flaneur, Melangolo, Genova 1993.
[20] Lettere, pag. 277.
[21] Lettere, pag. 327.
[22] Lettere, p. 273.
[23] W. Benjamin, Lettere, pag. 275.
[24] W. Benjamin, Lettere, pag. 278.
[25] Lettera a B. Brecht, 9.1.1935.
[26] W. Benjamin, Lettere, pag. 326.
[27] G. Scholem, W. Benjamin. Storia di un’amicizia, pag. 245.
[28] Ibidem, pag. 245.
[29] W. Benjamin, Lettere, pag. 330.
[30] W. Benjamin, Lettere, p. 330/331;
[31] W. Benjamin, Lettere, pag. 181.
[32] W. Benjamin, Lettere, pag. 184.
[33] G. Scholem, p. 210.
[34] W. Benjamin, Lettere, pag. 166.
[35] W. Benjamin, Lettere, pag. 169.
[36] W. Benjamin, Lettere, pag. 171
[37] W. Benjamin, Lettere, pag. 177.
[38] H. Arendt, La questione ebraica, Feltrinelli.
[39] H. Arendt, ibidem.
[40] W. Benjamin, Lettera a Scholem, 25.11.1930.
[41] W. Benjamin, Lettere, pag. 348.
[42] Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia,1968, p. 290.
[43] L. Robin, La teoria platonica dell’amore, Milano, 1973, pagg. 158-159.
[44] Platone, Fedro, pag. 247.
[45] B. Agesilaus, Santander in G. Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo,  Adelphy.
[46] G. Scholem, Walter Benajmin e il suo angelo, pag. 38.
[47] W. Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, in Angelus Novus, pag. 57.
[48] W. Benjamin, idem, pag. 56.
[49] W. Benjamin, idem pag. 60-61
[50] W. Benjamin, idem, pag. 62.
[51] W. Benjamin, idem, pag. 66.
[52] W. Benjamin, idem, pagg. 66/67.
[53] W. Benjamin, idem, pag. 70.
[54] BENJAMIN W., Passages, Introduzione, pag. X.
[55] Pagg. 1015 e ss.
[56] W. Benjamin, Sull’hascisc, pagg. 12-20.
[57] W, Benjamin, Sull’hascisc, op. cit., p. 65.
[58] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 43.
[59] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 34.
[60] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 47.
[61] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 68.
[62] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 79.
[63] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 85.
[64] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 90.
[65] W. Benjamin, Sull'hascisc, op. cit.,  p. 91.
[66] W. Benjamin, Lettere, p. 169.
[67] W. Benjamin, L'anello di Saturno, in Passages, op- cit., vol. II, p. 973.
[68] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol II,  pag. 979 e segg.
[69] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 85.
[70] W. Benjamin, Passages, op. cit., p. 956.
[71] Pubblicato nel 1926.
[72] W. Benjamin, Passages, op. cit., pag. 1020.
[73] W. Benjamin,Passages, op. cit., vol. II, pag. 1019.
[74] Regista A. Resnais, anno 1961.
[75] Testimonianze sulla genesi dell’opera Passages, vol. II, pag. 1045. Vedi pure lettera a G. Scholem, 
Parigi 20 gennaio 1930, pag. 177.
[76] W. Benjamin, Lettera a Cohn, in Passages. vol. II in Testimonianza sulla genesi dell’opera, p.1066
[77] W. Benjamin, Passages, op- cit., vol. I, pag. 5-18
[78] W. Benjamin. Lettera a Adorno, Lourdes 2.8.1940 in Lettere, op. cit., pagg. 407-409.
[79] W. Benjamin, Lettere a Horkheimer, Lourdes, 16 giugno 1940 in  Passages, op. cit., vol. II, p. 1173
[80] W. Benjamin, Parigi, la capitale del XIX secolo, in Passages, vol. I, pag. 10.
[81] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 9. Vedi pure Parapolimena, Passages, vol.. II, pag. 1003.
[82] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I,  pag. 41 e vol. II pag. 958.
[83] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 50.
[84] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 82.
[85] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, p. 155
[86] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 160.
[87] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pagg. 17-18.
[88] W. Benjamin, Sul concetto di storia, op. cit., pag. 47.
[89] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 507.
[90] W. Benjamin, Passages, op. cit.,  vol. I, pag. 465
[91] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 50.
[92] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 507.
[93] W. Benjamin, Passages, op. cit., vol. I, pag. 506.
[94] W. Benjamin, Sul concetto di storia, op. cit., pag. 37.
[95] W. Benjamin, Sul concetto di storia, op. cit., pag. 27.
[96] Benjamin, sul concetto di storia,op. cit. pag.27
[97] W. Benjamin, Passages, op-cit., vol. I,  pag. 467
[98] W. Benjamin, >Passages, op. cit., vol. I, pag. 105.
[99]  Walter Benjamin, lettere, opo.cit.pag.365-366












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