ABELARDO E ELOISA: Un amore struggente
ABELARDO E ELOISA: UN AMORE STRUGGENTE
LA SITUAZIONE STORICA
Nel corso dell’ XI secolo si è formata la classe dei mercanti che aprirono nuove vie di commercio, cercarono di superare le strutture dell'economia feudale e si posero in conflitto con i poteri ecclesiastici; contemporaneamente, nell’ Europa occidentale la servitù della gleba stava scomparendo, i contadini cercavano di acquisire qualche libertà; inoltre molti di loro emigravano nelle città e diventavano artigiani.
I mutamenti economici favorirono lo sviluppo della cultura, a Parigi sorse una scuola nel chiostro di Notre Dame, cioè nelle case dei canonici che sorgevano attorno alla cattedrale; successivamente, si aprirono altre scuole nella zona a sinistra della Senna, presso le abbazie di Sainte Geneviève e di San Vittore; erano abilitati all' insegnamento i membri dei capitoli di Notre Dame, i canonici delle abbazie, i maestri che avevano ricevuto il permesso d' insegnare da parte del vescovo che aveva la giurisdizione sulle scuole urbane; i magistri erano membri della chiesa come chierici, ma non erano monaci, vivevano in città e, a volte, erano anche consiglieri dei sovrani. Gli studenti provenivano non solo dalla Francia, ma anche dall’ Italia, dalla Germania, dall’ Inghilterra; spesso erano poveri e si adattavano a praticare i più diversi mestieri; i “Carmina burana,” canti goliardici composti dagli studenti, esaltano il vino, il gioco e l’ amore e criticano il clero e i monaci.
Nel XII secolo si afferma la Scolastica; i programmi sono quelli stabiliti da Alcuino: le sette arti liberali e la teologia; per ogni arte si fa riferimento a opere dei classici: Prisciano per la grammatica, Cicerone per la retorica, Aristotele per la logica (De interpretatione e Categorie con l’ Introduzione di Porfirio e il commento di Boezio); lo studio di tali discipline preparava alla teologia che aveva come testi la Bibbia, con i commenti dei Padri della Chiesa. Il metodo di studio si basava sulla lectio, cioè sulla lettura del testo, durante la lettura il maestro faceva commenti per chiarire il senso del passo, e sulla disputatio cioè l’ esame di un problema tenendo conto degli argomenti che si possono considerare pro o contra; nel corso del XII secolo si diffuse la pratica di raccogliere e di citare delle sentenze dei magistri che venivano discusse e confutate; nelle scuole di Gugliemo di Champeaux e di Anselmo di Laon, che Abelardo frequentò, si affermò la pratica delle quaestiones che avevano lo scopo di risolvere dubbi e difficoltà che si devono affrontare per quanto attiene le verità di fede; il metodo si basa su due momenti: la formulazione delle difficoltà sul significato di un passo e la soluzione di esse. (1)
NOTAZIONI BIOGRAFICHE
Abelardo è nato da una nobile famiglia nel 1079 a Palais, città situata nella parte meridionale della Bretagna, vicino a Poitou; il padre lo iniziò allo studio dei classici: Cicerone, Ovidio, Orazio, Seneca e Lucano oltre ai grammatici e filosofi, in particolare Boezio. Studiò dapprima a Tours e, sucessivamente, fu allievo di Roscellino di Compiègne, a Loches dal 1093 al 1099; venuto in contrasto con Roscellino, abbandonò la scuola.
A vent' anni fece atto di rinuncia alla primogenitura, rifiutando tutti i privilegi ad essa connessi, per dedicarsi completamente agli studi filosofici; nel 1100, circa, si recò a Parigi per ascoltare Guglielmo di Champeaux che teneva lezioni nella scuola episcopale di Notre Dame e seguì le sue lezioni per due anni; criticò le tesi del maestro sugli universali, per cui fu costretto a trasferirsi prima a Melun dove fondò una sua scuola, poi a Corbeil dove insegnò riscuotendo notevole successo; successivamente, forse per motivi di salute o per motivi economici, dovette tornare a Palais. Per due anni si dedicò allo studio, quindi nel 1108, tornò a Parigi e ascoltò nuovamente le lezioni di Guglielmo che era divenuto canonico di San Vittore, ma sorgono nuovi contrasti; Guglielmo si ritira nell' abbazia di San Vittore, quindi, nel 1113, diviene vescovo di Chalons, mentre Abelardo
fondò una scuola presso Sainte Gèneviève, nella zona dove sarebbe sorta la Sorbona. Nel 1113 si recò a Laon per perfezionarsi nello studio della teologia, seguendo le lezioni di Anselmo di Laon, ma, essendo in disaccordo con la visione filosofica di Anselmo, abbandonò Laon e, nel 1114, tornò a Parigi ottenne, finalmente, la cattedra a Notre Dame dove insegnò dialettica e teologia. Fu il periodo più significativo della sua attività di docente, le sue lezioni erano seguite da numerosi studenti che lo ammiravano. Il suo insegnamento si svolse "tra dispute clamorose e polemiche violente suscitate dalla sua intemperanza dialettica e dall' invidia che il suo successo provocava"(2)
Al colmo della fama, fu travolto da una violenta passione amorosa: nel 1116, conobbe Eloisa, di circa vent' anni più giovane di lui, nipote di Fulberto, canonico di Notre Dame, nota per la sua intelligenza e per la sua cultura: conosceva il latino e, forse, l' ebraico e il greco, gli scritti di Ovidio, di Lucano e di autori cristiani: come scrisse Abelardo nell’ opera “Storia delle mie disgrazie:” “vidi in lei tutte quelle doti che sogliono attrarre gli amanti ,pensai di unirla a me con un amore che mi sembrava adatto alle mie esigenze, e credetti di poterci arrivare con molta facilità ”(3).
Fulberto, che amava Eloisa come una figlia, e ne era orgoglioso, affidò a Abelardo il compito di perfezionare la cultura della nipote. Fra Abelardo e Eloisa la passione amorosa nasce improvvisa e travolgente; Abelardo convinse Fulberto ad accoglierlo come pensionante nella sua casa che era vicino alla scuola: Anche se i due amanti mantennero segreti i loro incontri, Fulberto scoprì il loro rapporto; Abelardo e Eloisa fuggirono da Parigi e si recarono in Bretagna presso i familiari di Abelardo, e qui nacque il loro figlio al quale fu imposto il nome di Astrolabio: “Poco dopo la fanciulla, si accorse di essere madre e me ne scrisse subito con straordinaria gioia chiedendomi che cosa io decidessi di fare. Allora, in una notte in cui lo zio era assente, dopo esserci prima messi d’ accordo, la rapii nascostamente da quella casa e subito la trasferii al mio paese, dove soggiornò presso una mia sorella finchè dette alla luce un maschio che chiamò Astralabio.”(4) Abelardo per placare l’ ira di Fulberto, propose il matrimonio che doveva restare segreto; il matrimonio fu celebrato per volere di Abelardo, mentre Eloisa era nettamente contraria, sia perchè non voleva danneggiare la carriera di Abelardo, sia perchè riteneva il matrimonio contrario alla sua idea di amore totalmente disinteressato. Ma Fulberto divulgò la notizia; sia Abelardo che Eloisa smentirono di essersi sposati e si separarono per volere di Abelardo, Eloisa entrò nel convento di Argenteuil, doveva aveva vissuto durante la sua infanzia, e si fece monaca.
Fulberto e i parenti di Eloisa, temendo che Abelardo volesse sbarazzarsi di lei, si vendicarono facendolo evirare nel sonno. Verso la fine del 1117 o all’ inizio del 1118, Abelardo diventò monaco e insegnò logica e teologia in una scuola aperta nella regione dello Champagne; quindi entrò nel convento di Saint Denis, il più importante convento della Francia, dove si trovavano le tombe dei re di Francia; le sue lezioni erano seguite da numerosi studenti come era già accaduto a Sainte Gèneviève; in questo periodo compose lo scritto “De unitate et trinitate divina;” nel trattato affronta il tema della Trinità: secondo Abelardo le tre persone della Trinità Padre, Figlio e Spirito Santo si distinguono per i loro attributi: Potenza propria del Padre, Sapienza propria del Figlio, e Carità propria dello Spirito Santo; i tre attributi di Dio, sono strettamente correlati e costituiscono un tutto unitario:per cui le tre persone derivano una dall’ altra; il Padre genera da sè il Figlio e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Abelardo è attaccato dai maestri della scuola episcopale di Reims per le tesi sulla Trinità ed è condannato, nel concilio di Soissons (1121), dall’ arcivescovo e dal legato pontificio, a bruciare il libro e a chiudersi in monastero a Soissons. Successivamente il legato lo autorizza a rientrare nell’ abbazia di Saint Denis, ma sorgono nuovi contrasti con l’ abate che vuol denunziarlo al re Abelardo fugge a Provins e una donazione gli consente di stabilirsi, come eremita, con un discepolo a Quincey, presso Nogent-sur-Seine, dove fondò l’ oratorio denominato Paracleto, anche qui apre una scuola, dove insegnò per circa tre anni.
Nel 1128, Abelardo lascia il Paracleto per diventare abate di Saint- Gildas nella diocesi di Vannes nella Bretagna; rimane alla direzione del convento per circa dieci anni, vivendo in una condizione d’ infelicità e di angoscia a causa dell’ insubordinazione, della corruzione delle minacce dei monaci, ignoranti e viziosi, che , pare, abbiano cercato di avvelenarlo.
Riprende contatti con Eloisa, badessa a Argenteuil e l’ invita a stabilirsi con le monache al Paracleto; qui termina la “storia delle mie disgrazie;”, ma da altri documenti, sappiamo che, nel 1136, torna a Parigi e riprende l’ attività dì insegnamento, tra i suoi discepoli vi sono anche Arnaldo da Brescia e Giovanni di Salisbury. A quel tempo la Chiesa era divisa fra Innocenzo III e l’ antipapa Anacleto; il primo era sostenuto da Bernardo di
Chiaravalle che, tra il 1130 e il 1138, si recò tre volte a Roma per difendere il papa; la lotta si chiuse con la morte di Anacleto. Ritornato in Francia, S.Bernardo ritenne che le teoria di Abelardo costituissero un grave pericolo per la Chiesa e provocò, contro Abelardo, la condanna nel Sinodo di Sens (1140). Abelardo si appellò al Papa e voleva recarsi a Roma per sostenere la sua causa, ma l’ abate Pietro di Cluny lo convinse a riconciliarsi con la Chiesa, col Papa e con S.Bernardo. Abelardo compose, in questa occasione, una”Apologia” e trascorse l’ ultimo periodo della sua vita presso Pietro il Venerabile nell’ abbazia di Cluny in Borgogna dove morì il 20 aprile del 1142 a 63 anni; la sua salma fu sepolta al Paracleto e, 21 anni dopo, fu messa accanti a lui, la salma di Eloisa (1164).
Non abbiamo alcuna notizia di Eloisa: dopo che entrò nel convento di Argenteuil, dove rimase per dieci anni, fu nominata priora, probabilmente nel 1123; la priora, oltre ad esercitare una funzione educativa per quanto attiene le monache, le novizie e le bambine che venivano allevate in convento, doveva provvedere all’ organizzazione del convento e dell’ economia interna, all’ amministrazione dei possedimenti e delle rendite; compiti impegnativi, considerato che Argenteuil aveva vaste proprietà, grazie alle donazioni della regina Adelaide ed a quelle ricevute successivamente. Eloisa assolse ai suoi molteplici compiti con decisione e con fermezza, dimostrando notevoli doti organizzative. Nel 1129, le monache furono allontanate dal convento, poichè il nuovo abate di Saint-Denis, Sugeri, per accrescere la ricchezza della badia, chiese al pontefice di ristabilire la dipendenza di Argenteuil da Saint Denis e di allontanare le monache dal convento per sostituirle con i propri monaci. Durante un’ assemblea di ecclesiastici, che comprendeva, tra gli altri, l’ arcivescovo di Reims e i vescovi di Chartres, Parigi e Soissons, tenuta a Saint-Germain-des-Près a Parigi, alla presenza del sovrano e del legato pontificio, per esaminare la questione delle riforme dei conventi del regno, le monache di Argenteuil vennero accusate di indegnità, per cui venne richiesto la loro espulsione e, in quella occasione, Sugeri dimostrò che Argenteuil apparteneva all’ abbazia di Saint Denis. Probabilmente le accuse non avevano fondamento e furono mosse perchè Saint Denis intendeva riprendere il controllo su Argenteuil, controllo che, forse, risaliva all’ epoca carolingia. Anche Eloisa, come le altre monache, fu espulsa dal convento, ma non le seguì, poichè Abelardo invitò Eloisa a recarsi al Paracleto con quelle monache che non volevano abbandonarla.
Abelardo e Eloisa si ritrovarono dopo una separazione di dieci anni; non abbiamo alcun documento circa il loro incontro si può ipotizzare che Abelardo abbia ceduto a Eloisa quel posto, senza porre alcuna condizione, per aiutarla in un momento di difficoltà e quale segno di fiducia nelle sue doti; in effetti Eloisa fece del Paracleto “una delle più rinomate badie di Francia e il proprio focolare, sino alla fine dei suoi giorni” Una prova significativa che attesta la stima di cui godeva Eloisa, è la visita che S. Bernardo le fece al Paracleto dove fu ricevuto con “grande giubilo” da parte delle monache.
Abelardo fece visite al monastero, dapprima raramente, poi più frequenti sia per amministrare gli affari del convento, sia per predicare; le frequenti visite furono oggetto di critiche ostili, anche se Abelardo, durante le sue visite, aveva un atteggiamento “cerimonioso et impersonale” verso Eloisa.
LE LETTERE DI ABELARDO E ELOISA
Secondo la visione cristiana, l’ amore si configura come “agape” : cioè “amore di Dio,” come amore per gli altri, inteso come amore universale: “Ama il prossimo tuo come te stesso”; questa forma di amore è profondamente diverso dall’ eros dell’ età classica. Il nuovo concetto di amore è teorizzato da San Paolo nella lettera ai Corinti, da Sant’ Agostino che identifica l’ amore con la carità e da Bernardo di Chiaravalle (1090/1091 – 1153) che distingue l’ amore “carnale”, dall’ amore verso Dio che potrà raggiungere il suo apice solo dopo la morte, quando l’ uomo potrà attingere la beatitudine; San Bernardo distingue due forme di amore: l’ uomo dapprima ama se stesso; quindi ama e onora Dio con la preghiera e l’ obbedienza.
Nel XII secolo si delineano nuovi orientamenti che considerano, positivamente, la passione amorosa: la poesia cortese esalta l’ amore come dimensione interiore e passione indomabile; una straordinaria testimonianza di questa tendenza possiamo individuarla nelle vicende che coinvolsero Abelardo e Eloisa; dopo che entrambi sono entrati in convento, fra i due amanti vi è uno scambio epistolare che comprende le lettere di Abelardo e quelle di Eloisa. La prima lettera di Abelardo ha la struttura di un memoriale intitolato “Historia calamitatum” in cui Abelardo narra le terribili avversità della sua vita e ricorda l’ incontro con Eloisa, la passione travolgente che travolse entrambi “Vivendo sotto lo stesso tetto,gli animi nostri s’ intesero. Col pretesto dello studio ci abbandonavamo perdutamente all’ amore, e proprio lo studio offriva quei segreti isolamenti di cui l’ amore ha bisogno. Dinanzi ai libri aperti parlavamo più di amore che di filosofia, ed erano più i baci che le sentenze. Più ai seni che ai libri correvano le mani, e gli occhi riflettevano l’ incanto dell’ amore più spesso che non si volgessero alla lettura del testo........A poco a poco gustammo bramosamente tutti i gradi dell’ amore, senza trascurarne alcuno e se l’ amore ebbe mai il potere di escogitare piaceri insoliti noi ce li concedemmo. Quanto più inesperti eravamotanto più ardentemente indugiavamo a goderli senza mai giungere a provarne fastidi”(4) Eloisa rispose, scrivendo la seconda lettera: “Al suo signore, o meglio al padre; al suo sposo, anzi al fratello la sua serva, o meglio la figlia; la sua sposa, anzi la sorella; ad Abelardo,Eloisa”(5)
Eloisa nella lettera esprime il suo amore che sfida il tempo: “Dio sa bene che in te non ho mai cercato altro che te solo; ho desiderato solamente te, e non le tue sostanze, non miravo al matrimonio nè alla ricchezza; e tu sai bene che sempre ho cercato di soddisfare non i miei piaceri e la mia volontà, ma unicamente i tuoi. E se il nome di moglie appare più sacro e più valido, per me è stato sempre più dolce quello di amica, o, se non ti scandalizzi, di concubina o di prostituta(6): perchè, quanto più mi fossi umiliata, dinanzi a te tanto più ti sarei stata gradita e avrei meno offuscato lo splendore della tua trionfante personalità. Tu stesso per tua bontà, non ti sei dimenticato di questo nella lettera di consolazione al tuo amico dove ti sei degnato di esporre alcuni ragioni con le quali tentavo di dissuaderti dalle infauste nozze. Però non hai detto quelle per le quali preferivo l’ amore al matrimonio, la libertà al vincolo. Chiamo Dio a testimone che se Augusto stesso, imperatore dell’ universo, mi avesse fatto l’ onore di offrirmi il matrimonio e mi avesse assicurato il perpetuo possesso di tutto il mondo, mi sarebbe parso più caro e più degno essere la tua meretrice piuttosto che la sua imperatrice” (7)
Nella quarta lettera, Eloisa vuole mostrare la sua anima a Abelardo sino alle profondità più oscure, e esprime la lacerante passione che ancora divampa in lei:”Al suo unico dopo Cristo, la sua unica il Cristo” e ammette di non essersi pentita di quanto è accaduto un tempo:
“Dio voglia ch’ io sia capace di fare una penitenza adeguata propriamente al male commesso, e possa in qualche modo ricompensare, almeno con una lunga contrizione di penitenza, la pena della ferita che tu hai dovuto sopportare; perchè è giusto che l’ offesa che ti fu fatta nel corpo in un istante, io la ripaghi per tutta la vita con la mortificazione dell’ anima; in tal modo darò almeno soddisfazione a te, se non a Dio.
Ma se riconosco francamente la debolezza del mio infelicissimo animo, non trovo con quale penitenza potrei placare Dio perchè tuttora l’ accuso di una crudeltà troppo grande per aver permesso quell’ infamia a tuo danno; e così, non adattandomi alla sua volontà, riesco più ad offenderlo con la mia ira che a placarlo con la penitenza. E come si può parlare di vera penitenza dei peccati quando, per grande che sia la mortificazione del corpo, l’ animo rimane fermo nella volontà di peccare e arde degli antichi desideri? Certo è facile confessare i peccati e accusare se stessi, e giungere fino a mortificare il corpo, esibendo una soddisfazione tutta esteriore; ma è difficilissmo svellere dall’ animo il desiderio della suprema voluttà.............. quelle gioie da amanti che provammo insieme mi sono state tanto dolci che non possono nè dispiacermi nè sfuggirmi dalla memoria. Dovunque mi volga sono sempre presenti ai miei occhi e m’ accendono di desideri. Anche quando dormo la loro suggestione mi tormenta. Perfino in mezzo ai solenni riti, quando più pura deve essere la preghiera, le immagini impudiche di quelle voluttà inchiodano tanto nel profondo l’ infelicissimo mio animo che mi sento disposta più a quei turpi godimenti che alla preghiera. E così , mentre dovrei gemere per quel che ho commesso, piuttosto sospiro per quel che ho perduto. E non quel solo che facevamo allora, ma anche i luoghi e i momenti in cui godemmo, e tu stesso, mi siete talmente dentro l’ animo che agisco come se fossi con te in quel tempo, e nemmeno quando dormo riesco ad aver pace da queste immagini. Talvolta anche i miei movimenti tradiscono i pensieri dell’animo e la parola mi prorompe incontrollata....... l’ ardore dell’ età giovanile e l’ esperienza di deliziosissime voluttà accendono fortemente gli stimoli della carne, incentivi alla libidine, e tanto più possono dominare da padroni in me quanto più debole è la natura che incontrano. La gente vanta la mia castità perchè non sa che sono ipocrita. Chiamano virtù l’ astinenza del corpo, e invece la virtù non è del corpo ma dell’ anima. Dagli uomini posso anche essere lodata, ma presso Dio non ho nessun merito perchè egli fruga il cuore e le reni e vede nell’ intimo. Mi giudicano religiosa perchè ai nostri tempi anche una piccola dose di religione è apprezzata, e per ricevere enormi lodi basta non offendere l’ umano giudizio(8)
Le riflessioni di Eloisa sono ispirate all’ “etica dell’ intenzione” che Abelardo ha affrontato nello scritto “Scito te ipsum” – conosci te stesso: Abelardo distingue un’ azione buona da quella cattiva a seconda dell’intenzione interiore, pertanto si commette peccato solo se sussiste il consenso all’ agire malvagio, lo stesso peccato originale non può essere considerato, in senso vero e proprio, un peccato in quanto manca il consenso.
Abelardo risponde alla lettera di Eloisa sostenendo che la mutilazione subita è meritata quale punizione per la sua smodata passione e ciò che gli è accaduto deve essere accettato quale segno della misericordia divina: il restare mutilato di quello che era la sede della libido è segno della somma giustizia e della clemenza divina e conclude la lettera con una preghiera, che ha composto appositamente e chiede a Eloisa di dirla per lui: “O Dio , che fin dalla creazione del genere umano formasti la donna con la costola dell’ uomo e sancisti l’ altissimo sacramento delle nozze, e con immensi onori sublimasti il matrimonio, sia nascendo da una donna sposata, sia compiendo il primo miracolo,( alle nozze di Cana) tu che, nel modo che ti piacque, porgesti un tempo il rimedio all’ incontinenza della mia fragile persona, non disprezzare le preghiere che io, tua serva, supplicando innalzo al cospetto della tua maestà, per il perdono dei peccati miei e del mio amato. Perdonaci, tu che sei profondamente buono, anzi sei la bontà stessa; perdona i nostri tanti e gravi peccati, e l’ immensità delle nostre colpe sperimenti la grandezza della tua ineffabile misericordia. Ti scongiuro punisci adesso i colpevoli, per risparmiarli in futuro; punisci ora, per risparmiarli nell’ eternità. Usa contro i tuoi servi la verga della correzione, non la spada dell’ ira. Mortifica la carne, per salvare le anime.”(9)
Paolo e Francesca leggevano, nel romanzo di Lancillotto del Lago, il momento dell’ incontro tra Lancillotto e Ginevra quando il cavaliere ricorda a Ginevra le dolci parole che un tempo gli aveva detto e il siniscalco Galeotto interviene e induce Ginevra a baciare Lancillotto:
“Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura,e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse
Quando leggemmo il desiato riso
essere basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.”(10)
Dante celebra l’ eternità del sentimento amoroso che unisce per sempre i due amanti da quando Paolo, “tutto tremante”, baciò la bocca di Francesca; l’ amore è, contestualmente, esaltazione e sofferenza, la passione è talmente intensa da mantenersi “intatta” anche dopo la morte.
Le lettere di Eloisa possono essere considerate come un’ anticipazione dell’ amor cortese che considera rapporti amorosi autentici quelli al di fuori del matrimonio: la visione dell’ amor cortese verrà infatti sviluppato, nella sua pienezza, nel secolo successivo, nel trattato di Andrea Cappellamo “Trattato d’ amore” che definisce l’ amore come “una passione innata che procede dalla vista e dall’ eccessiva immaginazione della bellezza del sesso opposto, per cui sopra ogni altra cosa si vuole abbracciare l’ altro e, per reciproco volere, nell’ abbraccio adempiere i comandamenti dell’ amore.”. Tracce dell’ ideale dell’ amor cortese, a testimonianza della sua duratura influenza nell’ immaginario artistico e letterario si trova ancora nelle Novelle del Boccaccio e, anche se trasformato da un interiore tormento, nelle liriche del Petrarca.
L’ amor cortese attinge alla poesia erotica latina e, in particolare, alle opere di Ovidio (Ars amandi e i Remedia amoris); l’ esaltazione della passione amorosa che travolge gli amanti, è tuttora evidente nell’ immaginario sentimentale ed erotico, ma l’ attrazione fisica è anche sublimata in una visione spirituale che aspira alla ricerca della bellezza intesa come sentimento del bello che trascende la realtà sensibile.
Il tormento dell’ amore, fonte di smarrimento che spinge all’ oblio di se stesso, è espresso dal poeta Garcia Lorca nei “Sonetti dell’ amore oscuro:
Sonetto gongorino con cui il poeta invia al suo amore una colomba
“La colomba del Turia che ti mando
dai dolci occhi e dalla bianca piuma
su un lauro greco effonde e addensa a emblema
lento fuoco d’ amor ov’ io mi ascondo.
La candida virtù, quel collo lene,
in doppio limo di fervida spuma,
con tremore di brina, perla e bruma
l’ assenza della tua bocca rilevano.
Scorri con la tua mano su quel bianco
e vedrai quale nivea melodia
in fiocchi sulla tua bellezza sparge.
Così la notte e il giorno il cuore mio
nel buio carcere amoroso piange,
cieco di te, la sua melanconia”(11)
L’ amore si cerca, e, contemporaneamente, si evita, è un enigma indecifrabile e ambiguo; l’ ambivalenza della passione amorosa è espressa nel romanzo di Giovanni Taibi “Lame di buio dal passato,” il protagonista, ritornato nel paese natio, comprende che la lontananza non ha distrutto la passione giovanile, l’ immagine di Anna è rimasta fissa nel suo cuore esacerbato. Il rapporto amoroso è uno scacco che travolge l’ individuo, è un’ illusione che lascia solo amarezza e intima sofferenza.
Le lettere di Abelardo e Eloisa esprimono, con efficacia, la potenza della passione amorosa; entrambi sono soggiogati, in senso assoluto, dall’ amore e li unisce una profonda comunione spirituale. La loro unione perdura, malgrado il destino doloroso e gli eventi tragici che hanno dovuto affrontare: l’evirazione di Abelardo, la separazione definitiva, non hanno mai oscurato la loro passione. Il profondo legame che li ha uniti è simboleggiato dalla leggenda che, quando Eloisa morì, circa vent’ anni dopo Abelardo, e la sua salma venne collocata a lato di quella di Abelardo, questi alzò le braccia per ricevere, in un eterno abbraccio, colei che aveva sempre amato.
NOTE
1). Cambiano, M. Mori, Storia e antologia della filosofia, vol. I, Laterza, pp. 257/258;
2) Abbagnano, Storia della filosofia, UTET, 1963, p. 402
3) Abelardo e Eloisa, Lettere, Einaudi, 1979, p.25;
4) Abelardo e Eloisa, Lettere, Einaudi, p. 31;
5) Abelardo e Eloisa p. 27
6) Abelardo e Eloisa, cit., p. 131 in latino il termine concubina ha l significato di compagna non sposata, ma fedele; “scortum” ha il significato di prostituta di basso livello. Eloisa il termine nel senso di donna che si offre senza nulla chiedere, quindi vuole indicare la purezza del suo amore;
7) Abelardo e Eloisa, op. cit. pp. 131-133;
8) Abelardo e Eloisa, op. cit. pp. 173-177;
9) Abelardo e Eloisa, op. cit., pp. 223-225;
10) Dante, La Divina Commedia, Inferno, canto V;
11) F. Garcia Lorca, Sonetti dell’ amore oscuro, Garzanti,1985, p.23
BIBLIOGRFIA
Abelardo e Eloisa, Lettere, Einaudi;
G. Cambiano, M. Mori, Storia e antologia della filosofia, Laterza;
Chiurco Carlo, Abelardo, Collana del Corriere della Sera;
Barbero, Frugoni, Medioevo , storia di voci, racconto di immagini, Laterza.