PERSEFONE: Alle radici del mito

PERSEFONE: ALLE RADICI DEL MITO

PREMESSA
Le più antiche testimonianze del culto di una divinità femminile nell’area mediterranea risale alla fine del Paleolitico; infatti sono state ritrovate, soprattutto nelle tombe, delle statuine nude con i fianchi molto accentuati e con gli attributi femminili assai spiccati; probabilmente raffigurano una dea della fecondità, ma, secondo gli studiosi, non rappresentano una dea che abbia riferimento alla Grande Madre. Ad un’epoca successiva – periodo neolitico dal quinto millennio a.C. alla prima metà del terzo millennio a. C. -  appartengono le statuine  che raffigurano  divinità femminili con il seno scoperto, le braccia alzate in atto di adorazione; queste statuine sono state ritrovate testimoniano la preminenza della donna sul piano religioso e possono essere riferite ad un culto della maternità, considerato che “la maternità è l’ unica base stabile della famiglia, in società nelle quali la funzione della procreazione è approssimativamente conosciuta”[1] . A partire dalla fine del terzo millennio, prima età del bronzo, i Cretesi costruiscono recinti a terrazza sulle cime dei monti, in tali recinti sono state ritrovate figurine umane e di animali che sono state interpretate come segno di adorazione di una divinità della natura, probabilmente la  “Terra-Madre:” dei  fuochi venivano accesi in suo onore  e  vi si gettavano delle  figurine di creta per aver e la protezione della dea; con l’ affermarsi dell’ agricoltura si diffondono i culti agrari, appartengono a tali culti i riti in onore della “Signora dell’ albero” ed i riti agrari ai quali si riferiscono le  tavolette votive e delle suppellettili come, recipienti che, si ritiene, fossero utilizzati per riporvi vegetali o semi.
Con l’ introduzione del lineare B, 1450 a. C.–1400 a. C.,  è possibile avere un quadro maggiormente delineato: sono state ritrovate delle  tavolette nel distretto di  Cnosso e in  quello di Pilo; presumibilmente non sono dello stesso periodo: le prime risalgono alla fine del XV sec. A. C., le seconde al 1200 a. C. circa. Le tavolette di Pilo  hanno  consentito di avere maggiori informazioni sulle divinità: nel periodo minoico, le dee hanno la preminenza e controllano la vita della natura e i campi, anche se divinità maschili, in particolare Poseidone, cominciano ad emergere. Secondo i testi più arcaici, Poseidone era venerato in Arcadia, come  “il dio del cavallo, delle acque dolci e delle forse sotterranee” ed è in rapporto con le altre divinità, in particolare Demetra[2] che, per evitare di congiungersi con Poseidone, assume l’ aspetto di diversi animali, si trasforma anche in una giumenta, allora il dio assume la forma di un cavallo e la possiede. Dal loro amore nasce il cavallo Arione. Secondo un altro mito,  Demetra congiuntasi con Zeus, partorisce Persefone, la medesima tradizione esisteva a Lycosura. Tutti questi miti si ritrovano sulle tavolette rinvenute a Pilo, dove si fa più volte cenno alle “Due Regine” e vi si riconosce la coppia Demetra-Persefone: Madre e figlia erano venerate come dee della fertilità e della vitalità della natura.
 Esiodo nella “Teogonia,” cerca di stabilire  una struttura organica all’ insieme delle  molteplici divinità, stabilendo una successione ed i rapporti  tra le divinità; egli  afferma che Demetra è figlia di Rea “Rea, unitasi a Krono, partorì illustri figli:/ Istie, Demetra[3],” e dopo l’unione con Zeus, Demetra “partorì Persefone dalle bianche braccia;[4] infine unitasi a Iaso “in un maggese tre volte arato, nel ricco paese [5]di Creta[6] generò Ploutos.[7] Nello scritto “Le Opere e i giorni”   Demetra è celebrata quale dea protettrice delle messi e dei campi e, in tal senso, fu venerata, sia in Grecia, che nelle colonie greche dell’Italia meridionale e, soprattutto, in Sicilia, dove si possono ancor ammirare i templi dedicati alla dea.     
  Sempre nella Teogonia troviamo due riferimenti a Persefone: quale divinità degli inferi, insieme a Ade, dimora nella “casa sonora, / del possente Ade e della terribile Persefoneia,” davanti alla casa “un cane terribile vi fa custodia,/spietato, e possiede un’ astuzia crudele: a chi entra/ con la coda fa festa e con gli orecchi ad un tempo,/ ma dopo non lascia uscire, anzi, in agguato/divora chiunque egli sorprende che esce fuori dalla porta/ del possente Ade e della terribile Persefonia[8].”  Esiodo definisce Persefone ”Terribile, ” nel senso che incute terrore alle anime che si presentano davanti al suo trono; tale attributo offre una visione di Persefone ben diversa rispetto a quella affermatasi in seguito che dipinge la dea come una fanciulla “ lieve” e di “aspetto virginale”. 
La bellezza spirituale del Mito antico è rievocata nella sua splendente ed immortale luce dal poeta contemporaneo Silvano Volcan:

SAMOTRACIA
Erba nuova sui prati
e nuovi fiori

dal bosco i cervi
ci guardano, curiosi

in alto, sul colle
una statua

i marinai miravano
l’ antico marmo

fendevano le onde i remi
dal rostro di bronzo

navi dalla pece nera
giacciono nel profondo mare

mirabile cedere la vita
per le amate sponde

gli eroi scomparsi
ricordano a noi mortali

ch’è nobil pugnar
per la patria Atene.[9]






INNO A DEMETRA
                                                                                                                                                                                    
L’inno a Demetra narra la più nota versione del mito che ha avuto maggiore diffusione; fu composto, presumibilmente alla metà del VII secolo a.C. e fa parte della raccolta "Inni omerici" costituita da trentatré componimenti, in ognuno era celebrata una divinità; già anticamente erano distinti dai poemi epici e, in genere, "sono tramandati insieme a inni e altra poesia ellenistica o tardoantica."[10] Nell’ antichità gli Inni furono attribuiti ad Omero, ma, attualmente, si ritiene che gli Inni siano, dal punto di vista cronologico, successivi all’ Iliade e all’ Odissea; tuttavia sono ancora, convenzionalmente, chiamati “Inni omerici.”   
Il poeta inizia l’Inno a Demetra, condensando in pochi versi la vicenda:  “Demetra, dea delle splendide messi, io canto Demetra dai bei capelli, dalla falce dorata e canto sua figlia dalle sottili caviglie, la figlia che fu rapita da Ade con il consenso di Zeus onnipotente, signore del tuono, mentre giocava insieme alle fiorenti figlie di Oceano e raccoglieva fiori – rose, crocchi, violette – sulla tenera erba del prato.”[11] Mentre  Persefone coglieva i fiori, che crescevano negli incantevoli prati di Nisa,  località che è stata collocata in Sicilia,  vide un narciso[12], ma quando sta per coglierlo, la terra si spalanca “La terra si spalancò nella pianura di Nisa e apparve sul carro trainato dagli immortali cavalli, Colui che regna sui molti, il Signore figlio di Crono;”[13] Ade  afferrò la fanciulla e la portò via con la forza sul suo carro dorato, nel tenebroso mondo sotterraneo. Persefone “con un grido altissimo” invocò Zeus, ma Zeus non udì il suo grido lo sentirono solo Ecate e Elios. Quando Persefone fu sotto terra, gettò un altro acutissimo   e “l’ eco della sua voce immortale raggiunse le cime dei monti e gli abissi del mare;[14] la  Madre, udito  il grido della figlia,  si strappò  il velo dalla bellissima  chioma, si gettò sulle spalle un mantello di colore scuro e, come un   uccello, si slanciò a cercarla per terra e per mare.[15]
La dea vagò, disperata, per nove giorni , stringendo tra le mani le fiaccole ardenti,  senza nutrirsi, senza gustare l’ ambrosia;  quando Elios le rivela che la figlia “dalle belle caviglie” è stata rapita da Ade, il suo  dolore  diventa  ancora più atroce , prosegue il suo cercare per ogni dove, “per le città, per i fertili campi degli uomini;”  l‘angoscia  era talmente straziante che Demetra aveva totalmente cambiato aspetto e  nessuno   fra gli uomini riconosce la dea. Il rapimento di Persefone costituisce la sua sconfitta come Madre: ormai deve abbandonare ogni speranza, e il desiderio di impedire che qualcuno potesse avvicinarsi alla figlia e sottrarla al suo amore incontenibile. Smarrita ogni bellezza divina, Demetra si trasforma in una vecchia povera e turpe; giunta a Eleusi “con il cuore colmo di pena sedeva lungo la strada, all’ombra di un ramo d’olivo che si protendeva sul pozzo Partenio…Aveva l’aspetto di una vecchia, gravata dagli anni, ormai lontana dalle gioie della maternità; “.[16]  incontra le figlie di  Celeo, signore della città di Eleusi  che  la invitano  nella  bella dimora  dove potrà allevare il figlio di Metanira, Demofoonte. Demetra decide di donargli  la giovinezza e renderlo immortale, ma  il suo tentativo fallisce: Metanira, quando scorge Demetra che sta per immergere Demofoonte nel fuoco,  grida impaurita; la dea depone a terra il bambino e rimprovera duramente Deianira perché le ha impedito di rendere Demofoonte immortale; , riacquistata la bellezza ed il portamento divino,  rivela  la sua identità e chiede che  le venga dedicato un tempio a Eleusi e insegna, a Celeo e ai figli Trittolemo e Eumolpo, i misteri Eleusini.
La “bionda Demetra” rimane nel tempio  “lontana da tutti gli dei, e consumava il suo cuore per la nostalgia della bellissima figlia;”  intanto le messi non crescevano più: “Spaventoso, tremendo essa rese quell’ anno per la terra degli uomini: nessun seme dava germogli, li teneva celati Demetra, la dea dalla bella corona”[17]. Tutto il genere umano rischiava di essere distrutto, Zeus, temendo  che,con la scomparsa degli uomini,  fossero tolti agli Dei dell’ Olimpo la gloria dei  sacrifici, inviò Iris “dalle ali dorate” affinchè conducesse Demetra presso il suo trono; ma Iris non riuscì a persuadere Demetra, allora accorsero tutti gli dei per sollecitarla, ma nessuno “piegava il suo cuore;” Zeus, per ristabilire l’ ordine cosmico, interviene ed invia Ermes nel Tartaro perché convinca  Ade a lasciare che Persefone riveda la madre. Demetra “sta tramando piani funesti, vuole distruggere la debole razza degli uomini”  nascondendo i germogli nel sottosuolo, in tal modo anche gli dei sarebbero privati degli onori dovuti.  Ade acconsente, ma prima che Persefone si allontani, le pone in bocca un chicco di melograno “con atto furtivo per non essere visto da altri , le fece mangiare  un dolce chicco di melograno non voleva che rimanesse per sempre sulla terra, insieme a Demetra..Il signore del vasto regno preparò i cavalli immortali per aggiogarli al carro dorato, sul carro salì la fanciulla e accanto a lei Ermes, il dio potente, afferrò redini e frusta e fuori dalla sala spinse i cavalli che si lanciarono in volo.[18] Ma il destino della fanciulla è segnato: avendo mangiato un chicco di melograno [19]  non potrà più abbandonare i luoghi Inferi.
Persefone raggiunge la madre, si confortano a vicenda “unite nel cuore nell’ animo e, scambiandosi gesti d’ affetto, davano e ricevevano gioia l’ una dall’ altra; così placavano l’ angoscia del cuore,” all’improvviso Demetra chiede alla figlia se avesse mangiato qualcosa mentre era sottoterra; Persefone risponde che Ade, di nascosto, le diede un chicco di melograno e la costrinse ad inghiottirlo. Madre e figlia  devono separarsi; Zeus disse a Demetra “ho stabilito che tua figlia viva per un terzo dell’ anno nel regno delle tenebre per due terzi con te e con altri dei celesti.[20] Demetra acconsentì e “subito fece spuntare i frutti dei campi e la terra tutta si coprì di foglie e di fiori”[21] Madre e figlia possono ricongiungersi, anche se non definitivamente.
Un destino ineluttabile costringe Persefone a un continuo alternarsi di apparizioni e nascondimenti, la dea dalle “caviglie sottili” è soggetta al divenire e alla temporalità [22], all’alternarsi delle stagioni secondo un ordine cosmico, ad una continua vicissitudine di discesa nei luoghi sotterranei e di risalita sulla Terra  alla luce di Elios, per far rivivere la natura insieme alla Madre. Sottratta per sempre alla pura forma del divino, appare e scompare, simbolo e metafora della stretta connessione della vita e della morte. Persefone, regina del regno dei morti e datrice di vita, ondeggia tra la luce solare e le tenebre che avvolgono il regno di Ade. Quando si trova in mezzo alle ombre, la terra è avvolta nel gelo dell’inverno, nel momento in cui riemerge dall’oscurità infernale per unirsi alla Madre, la vita torna a dominare ovunque.  Persefone è colei che sta sulla soglia che delimita il luogo della luce, da quello dell’oscurità, è sovrana delle tenebre, dove le ombre si muovono attorno al trono di Ade e, contestualmente, fanciulla eterea che, con passo leggero, cammina sulla Terra  che  si apre ai germogli; in lei sono compresenti  la  vita nella sua dinamicità e pluralità di forme, e la morte che tutto avvolge in un immobile sudario.
Dante, nel canto XXIII del Purgatorio, quando incontra Matelda “donna soletta che si gìa/cantando e iscegliendo fior da fiore/ond’ era pinta tutta la sua via” paragona la donna “soletta” a Proserpina “Tu mi fai rimembrar dove e qual era/ Proserpina nel tempo che perdette/la madre lei, ed ella primavera;[23] i versi di Dante  riecheggiano Ovidio che, nelle Metamorfosi, narra  il mito: vicino a Enna[24], presso il lago Pergo, si trova un bosco dove i rami degli alberi donano frescura e dove sbocciano fiori di “vari colori;” in questo bosco gioca Proserpina  e coglie “viole e candidi gigli/ e a gara con le sue compagne riempie i canestri/e i lembi della veste con gioia di fanciulla;” qui Plutone la vide e “subito arse d’amore e la rapìtanto violenta irruppe la passione”e “dalla tunica allentata cadono a terra i fiori raccolti”[25].
Un’atmosfera incantata avvolge Matelda e Proserpina, simili per la loro leggiadria e il fascino che emanano: anche Proserpina, prima che Plutone brutalmente la rapisse, coglieva fiori con le movenze lievi dell’adolescente, ignara del Tempo, del dolore, del rimpianto; Dante, in una terzina, esprime l’improvvisa metamorfosi che subisce Proserpina che, in un attimo, perde la madre, la bellezza della pianura fiorita, ”perdette primavera,” per essere trascinata nel baratro dell’ Averno dove non crescono “fiori stupendi, il croco bellissimo e iris, giacinti, rose e gigli…e il narciso che germoglia dalla terra simile al croco;”[26]  i luoghi infernali, privi di vita, immersi nel buio, regno dell’ atemporalità e della staticità si aprono davanti agli occhi di Persefone  sconvolta dal terrore, sprofondata nell’ Averno, circondata da ombre che si aggirano nelle tenebre dalle quali non potranno mai più uscire.
Il mito ha avuto molteplici interpretazioni nel corso dei secoli: in genere il rapimento di Proserpina è collegato all’introduzione dell’agricoltura ed alla coltivazione del grano o, più in generale, al rigoglio della Natura dall’ inizio della Primavera sino all’autunno; in questo periodo Madre e figlia possono vivere insieme, per separarsi nei mesi invernali quando la Natura è avvolta dal gelo. Il mito, inoltre, è da mettere in rapporto con il culto delle due Dee a Eleusi: Demetra nel suo peregrinare soggiorna a lungo nella casa di Celeo. signore della sacra città di Eleusi,  ma, dopo che l’ intervento di Metanira ha dissolto il  proposito della dea di donare l’immortalità  a  Demofoonte, abbandona il palazzo di Celeo e, prima di allontanarsi, ordina di costruire un grande tempio a lei dedicato “Nei pressi della città e delle sue mura, sulla collina che sovrasta il Callicoro  dentro al tempio dovrà essere collocato un altare[27].  Si ritiene che l’Inno a Demetra sia stato composto “in occasione della celebrazione e che si tenevano ogni anno a Eleusi;“[28] non possediamo le fonti più antiche relative ai riti che si celebravano in occasione dei “Misteri Eleusini”; in epoca storica le celebrazioni si svolgevano a settembre/ottobre: dapprima i “sacri oggetti” venivano trasferiti ad Atene, seguiva la purificazione degli iniziati che praticavano il digiuno e le abluzioni rituali; successivamente partiva da Atene la processione alla quale partecipavano gli iniziati e la popolazione ateniese. I fedeli percorrevano la via sacra portando il ritratto di Iacco, cantando in suo onore. Giunti a Eleusi, gli oggetti sacri, trasportati  in un cesto di vimini di forma cilindrica, venivano riposti nella cella del Telesterion, gli iniziati si allontanavano dagli altri fedeli, si recavano nel Telesterion – dove oltre a loro potevano entrare i sacerdoti -  bevevano il ciceone,[29] la bevanda sacra a Demetra e si preparavano a celebrare i misteri; infine, dopo una veglia di preghiera, veniva recitata una sacra rappresentazione per rievocare il rapimento di Persefone e la dolorosa ricerca della Madre  Lo ierofante, alla luce di una fiamma, annunciava che .Persefone era ritornata nell’ Ade e, tenendo in mano  una spiga di grano, annunciava che Persefone aveva generato un figlio divino. Il mito, quindi, non è più strettamente collegato alla coltivazione dell’orzo e del grano (come forse era in origine), ma assume un nuovo significato con riferimento all’ alterna vicenda della vita e della morte e alla ricerca di una forma di sopravvivenza nell’ oltretomba: l’anima non è più considerata un’ ombra evanescente, e, dopo la morte, potrà conseguire una vita beata se ha adempiuto ai Sacri Misteri.
E’ difficile stabilire quanto i Misteri Orfici abbiano influito su quelli Eleusini; comunque, è certo che tutte le religioni misteriche rispondevano al bisogno di sfuggire a un Averno buio e spaventevole; è probabile che anche gli iniziati ai Misteri Eleusini dovessero, oltre che praticare il rito, attenersi anche a norme di carattere morale per ottenere nell’ aldilà una vita  beata. La commistione tra i due riti trova una conferma nelle quattro laminette orfiche rinvenute a Thurii [30] e nelle due trovate a Pelinna.[31] Le anime degli iniziati invocano Persefone,  perché siano inviate alle sedi dei puri e siano sottratte alla reincarnazione e, quindi, al susseguirsi della vicenda di nascita, dolore e morte: “Vengo di tra i puri o pura regina degli inferi,/Euklès Eubulèus e altri numi immortali,/chè dichiaro di appartenere anch’ io alla vostra stirpe beata./Ma scontai la pena per azioni non giuste,/e mi assoggettò il Destino e il folgorante Saettatore celeste./Ora supplice vengo verso Persefone santa/perché benevola mi mandi alle sedi dei puri.”[32]Anche nelle altre laminette, l’anima dell’iniziato invoca Persefone “regina degli Inferi,” perchè, “benevola,” mandi la loro anima “alle sedi dei puri.”[33] La regina dell’ Ade, infatti, pronunziava il giudizio in base al quale era stabilito il destino delle anime e a lei  erano dedicati “i prati sacri e i boschi[34] che gli iniziati dovevano attraversare per recarsi all’ Elysion che, a differenza del tenebroso Ade, è un luogo “radioso e splendente”, perpetuamente illuminato dalla luce solare.  L’ anima pura potrà dimorare per  sempre in tale luogo, sottraendosi al ciclo delle reincarnazioni: “volai via dal doloroso ciclo grave d’ affanni,/e ascesi alla desiderata corona con piedi veloci.”[35] 
Le laminette testimoniano, in modo inequivocabile, la profonda religiosità  degli  iniziati e costituiscono  un modello di alta poesia; come aveva intuito G. Vico,  i miti sono espressione dei costumi, delle tradizioni delle modalità conoscitive  degli uomini, all’alba della storia:”I primi uomini come fanciulli del genere umano, non essendo capaci di formare i generi intellegibili delle cose, ebbero  naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi universali fantastici, da ridurvi come a certi modelli, o pure ritratti ideali, tutte le spezie particolari a ciascun a suo genere somiglianti;per la quale simiglianza, le antiche favole non potevano fingersi che con decoro”[36] L’ uomo non è ancora in grado di elaborare un ragionamento, un’ indagine di carattere razionale, per cui dà spazio alla fantasia; i primi Poeti, furono “Poeti Teologi,”  crearono immagini divine  e gli uomini le credettero vere, per “cui riverirono e venerarono le divinità.” 
I Misteri Eleusini assumono un duplice significato: culto della “Grande Madre” venerata, sin dalla preistoria, in tutta l’area del Mediterraneo e  della Mesopotamia [37] e,contestualmente, sono mezzo per vincere il timore della morte e del   tenebroso regno dei morti; gli iniziati, infatti, potevano conseguire la beatitudine eterna “Ora moristi e ora nascesti o beatissimo, in questo giorno/Dì’ a Persefone che ti liberò proprio Bacchos/Toro corresti verso il latte/ariete ti slanciasti/ il vino hai in premio o beato.”[38]
Pertanto è possibile pensare ad un’ esistenza dopo la morte: l’ iniziazione ai misteri eleusini dava la certezza che, quando l’ anima avrebbe lasciato “la luce del sole,” poteva accedere alla sede dei puri.

IL MATRIARCATO

Malgrado i profondi mutamenti delle strutture sociali intervenuti nel corso dei secoli, la figura della Madre quale datrice di vita, divinizzata nelle società matriarcali, è ancora presente, anche se, forse, ha assunto una dimensione più sfocata che ne ha appannato l’ immagine. Bachofen, lo studioso che, per primo, ha ipotizzato il matriarcato quale momento dell’ evoluzione  delle società umane,  nel Preambolo  e nell’ introduzione alla sua opera “Il Matriarcato,” sostiene  che, per comprendere le antiche civiltà, occorre tener conto soprattutto, del mito, poiché tale “prima forma di tradizione ha singolare importanza per la conoscenza della ginecocrazia; e la posizione del diritto materno nella mitologia rispecchia l’ alto significato che  esso ebbe quale nucleo centrale di tutta la civiltà[39] 
 Secondo Bachofen  durante il matriarcato fu  fondata la famiglia con il diritto matrilineare e cominciò a svilupparsi l’ agricoltura; Demetra e la figlia costituiscono il modello religioso “della successione in linea esclusivamente femminile di madre in figlia, quale si riscontra nel diritto materno.[40] Sotto la protezione di Demetra venne stabilito il diritto agrario e le norme che regolano la famiglia e la successione ereditaria Il mito ha origine molto antiche e si riallaccia al culto della “Grande Madre” diffuso  in tutta l’ area del Mediterraneo. E’ opportuno precisare che Bachofen non analizza solo le organizzazioni sociali dell’ area del mediterraneo, ma amplia la propria indagine ad altre  civiltà  individuando in ognuna di esse una forma di matriarcato, pertanto “La sovranità del principio materno nella famiglia non va considerata come un fenomeno isolato[41]”     
In età neolitica le credenze religiose erano fondate sul culto della “Grande Madre,” il concetto di maternità ha carattere originario: “in origine si parlò solo di una materfamilias. Paterfamilias è senza dubbio un’ espressione più tarda[42] La “Grande Madre” è la dea originaria che, per secoli, è stata venerata, come testimonia la statuetta  della Venere di Villendorf trovata in Austria. Alcune parti del corpo hanno particolare rilievo: il seno, il sesso, i glutei, il ventre; altre non ci sono o sono appena accennate: i piedi, le braccia, le mani, manca il volto. La capigliatura è scolpita con particolare cura: i riccioli sono distanziati, in modo regolare, da piccoli fori posti tra l’ uno e l’ altro. La statuetta costituisce una delle più antiche raffigurazioni della “Grande Madre,” l’ assenza  del volto dipende dal fatto che non è raffigurata una donna, ma Colei che è datrice di vita e che esprime la sacralità del materno.
Possiamo individuare un riferimento al tipo di organizzazione matriarcale, nel poemetto di Claudiano “Il rapimento di Proserpina:” il poeta, infatti,  narra che Demetra, dopo aver nascosto la figlia in Sicilia, per difenderla, si avviò verso la patria frigia dove si trovava   Cibele che era venerata dai Frigi, il culto si diffuse, a partire dal 6° secolo  a.C. (secondo alcuni molto prima), in Grecia e, dal 204, a Roma, dove fu portata la sua statua che si trovava a Pessinunte,  nel santuario dedicato alla dea.  Cibele era considerata Madre di tutti gli dei, e degli uomini e degli animali;  sovrana della natura selvaggia e, in particolare, dei leoni.
I miti e i numerosi ritrovamenti archeologici di raffigurazioni femminili testimoniano che il matriarcato ha caratterizzato le società umane per un lungo periodo e che erano venerate, soprattutto, delle divinità   femminili, il mito di Demetra e Persefone s’identifica, quindi,  con i miti della “Grande Madre” presenti in molteplici culture: egeo-minoica,  egiziana e  mesopotamica.     

L’ INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA DEL MITO

Sono possibili anche altre letture del mito  elaborate, soprattutto, nel corso dell’ 800 e del ‘ 900, nell’ ambito della psicoanalisi.
 Jung ritiene che sussistano “analogie tra i miti, le descrizioni letterarie e religiose e la situazione psichica individuale[43] nel senso che le indagini  relative a materiali mitologici, religiosi e letterari consentono di cogliere i contenuti dell’ inconscio individuale; in merito Jung elabora la teoria degli archetipi, secondo tale teoria sono presenti nell’ inconscio individuale “immagini fondamentali” che condizionano ogni individuo. Jung ha analizzato l’archetipo della madre in  diversi scritti, [44] analizzando molteplici miti tra cui quello di Demetra e Persefone  e sostiene che “La figura corrispondente alla Core è di regola, nella donna, una figura doppia, e precisamente madre e fanciulla: vale a dire, essa appare nelle vesti ora dell’ una ora dell’ altra….Nella formazione del mito di Demetra e Core, l’ influsso femminile è considerevolmente prevalso su quello maschile, la parte dell’ uomo nel mito di Demetra è difatti unicamente quella del rapitore e del violentatore”[45]. La coppia Demetra-Core, pertanto, si riferisce alla “sfera di esperienze di madre e figlia,” il culto di Demetra ha “tutti i caratteri di un ordinamento sociale matriarcale,”[46] tale rapporto è efficacemente  espresso nel dipinto di F. Leigton [47]; il quadro raffigura Persefone che, accompagnata da Ermes, sta per uscire dall’ Ade;  la Madre  l’attende, impaziente, presso l’apertura della voragine che conduce ai luoghi inferi; Persefone, sorretta da Ermes che la cinge e la tiene stretta a sé,  è giunta presso l’ apertura ed è avvolta in una luce bianca che esalta la a figura virginale di Persefone, Demetra spalanca le braccia per accogliere la  figlia che si tende verso di lei, entrambe ignorano che Persefone, avendo mangiato un chicco di melagrana, non potrà rimanere per sempre con la Madre. Leigton ha colto il momento dell’incontro che pone fine al dolore della separazione: Demetra ha posto fine al suo vagare alla ricerca dell’ amata figlia che ama di un amore totale ed appassionato, Persefone, risale dall’ Ade per riunirsi alla Madre in un nesso inscindibile.
 Entrambe devono misurare il trascorrere del tempo, conoscere il susseguirsi di passato, presente e futuro, attendere che torni  il momento felice dell’ abbraccio al sorgere della primavera.[48]    
Un’ interessante interpretazione del mito è fornita da K. Kerènyi: lo studioso  ungherese esamina le molteplici simbologie contenute nel mito e la duplicità della figura di Persefone che appartiene tanto alla sfera del Tartaro quanto a quella   della Natura, tanto al mondo della morte quanto a quello della vita, quasi a significare che fecondità e morte sono in intima connessione. Inoltre, analizzando l’Inno omerico a Demetra, Kerényi rileva, accanto alla madre Demetra e alla figlia Persefone, l’importanza di Hekate;  secondo lo studioso tale rapporto si può spiegare tenendo presente  che i Greci hanno dato il nome di Hekate ad una dea che riuniva nella sua figura rapporti con la Luna, carattere demetrico, e tratti della “Kore”; pertanto, la connessione di tre aspetti del mondo – uno da fanciulla, uno materno e uno lunare.
 Jung ricollegandosi all’indagine di Kerényi, individua in Demetra e in Kore,  una  condizione tipica della femminilità, nel senso che “ogni donna si amplia in una direzione nella madre, nell’altra nella figlia; “ da ciò si può arguire che nella formazione del  mito “l’ influsso femminile è così considerevolmente prevalso sull’ influsso maschile che quest’  ultimo ha perso ogni importanza,[49]”, il mito si riferisce, esclusivamente alle esperienze di madre e di figlia: “Demeter-Kore rappresenta la sfera di esperienze di madre e figlia, che è estranea all’uomo, anzi lo esclude”.[50]

LA LETTURA DEL MITO IN CHIAVE LETTERARIA  E ARTISTICA

Le vicende che hanno coinvolto le due dee hanno ispirato scrittori ed artisti non solo in epoca classica, ma anche successivamente sino al Novecento; Ovidio, sette secoli dopo l’ inno omerico, fa rivivere il mito introducendo varianti significative. inserisce, infatti, l’ intervento di  Venere che, su richiesta di Zeus, invia Amore perché, con una sua freccia, la più acuminata, la più sicura, la più sensibile all’ arco,  colpì Plutone al cuore.  Un’ altra variante è data dall’ episodio di   Ascalafo, figlio di Acheronte e  della ninfa Orfina; egli vide Persefone staccare un melograno, prendere sette chicchi e mangiarli e, rivelando tale fatto a Plutone, condanna Persefone alla continua alternanza dalla luce solare alle tenebre dell’ Averno; Ascalafo verrà punito dalla “regina dell’ Averno” che lo tramuta in un gufo. Inoltre nella versione di Ovidio, si avverte una dimensione erotica che è totalmente assente nell’ Inno:  Persefone, ingenua fanciulla, rompe il digiuno stacca sette granelli di melograno e li mette  in bocca, per cui è condannata a rimanere nei luoghi inferi,  Ade rapisce Persefone mosso dall’ amore: la fanciulla non è brutalmente afferrata e portata via con la forza: Plutone vedendo Proserpina che coglie   viole e candidi gigli e “a gara con le sue compagne riempie i canestri”, arde d’amore e la rapisce “tanto violenta irruppe la passione”.
Anche nel poemetto di Claudiano la narrazione assume una dimensione erotica: Venere esorta Persefone e le sue compagne ad andare a raccogliere fiori e colgono anche il narciso “gemma di primavera” mentre Plutone chiuso nel suo orrido regno, sogna l’ amore e le nozze e, dopo il rapimento,  cerca di consolare Persefone: “asciuga il pianto col ferrigno mantello/e con calme parole consola quel mesto dolore.” 
Permane, in entrambi gli autori, la disperazione materna e l’angosciante peregrinare alla ricerca della diletta figlia: “Al fuoco dell’ Etna accese due fiaccole di pino/e, una nella mano una nell’ altra, senza sosta vagò/ nella gelida notte. E quando l’ alma luce del giorno ebbe fatto/impallidire gli astri, ancora  cercava la figlia da ponente a levante.”[51] Ma   nelle composizioni di Ovidio e di Claudiano, viene meno – o quanto meno si attutisce – la dimensione religiosa che sta a fondamento dell’ Inno a Demetra e che traspare nelle sculture che raffigurano le due Dee, in atteggiamento ieratico, prevale il racconto letterario e la formalità della scrittura.                 
Una diversa lettura del mito è proposta da Goethe nel monodramma “Proserpina,”[52] la dea non ritorna più sulla terra, ella rimane per sempre “Regina” degli inferi; le  invocazioni alle compagne di giochi restano senza risposta, il suo destino è compiuto: né la madre che l’ ha cercata con l’animo colmo di dolore, né il padre che, bambina, la faceva oscillare “nell’ infinità del cielo” possono salvarla dal “cupo orrore” dell’ abisso; ormai ha assaporato il frutto del melograno e non potrà più abbandonare i luoghi dove si aggirano i defunti. Le Parche le gridano il suo fato irrevocabile “Tu sei nostra!/Il decreto di tuo padre è questo/ritornare senza aver toccato cibo;/e tu hai morso il frutto: ora sei nostra!/Sei la nostra regina, ti onoriamo.”[53]   
In epoca romantica il mito di Persefone venne reinterpretato in senso tragico e drammatico: Swinburne  riallacciandosi a Goethe[54], identificano Persefone quale “dea della morte” costretta, per sempre, alla dimora infernale  dove “non cresce cespuglio né  brughiera,/né erica né vite;/solo boccioli di papavero senza fiore,/acini verdi dell’ uva di Proserpina,/pallide distese di giunchi piegati dal vento/dove foglia non spunta e non si arrossa:/tranne questa, da dove lei distilla/vino mortale per uomini morti;” la Regina degli Inferi fa crescere solo  boccioli di papavero senza fiore da cui trae il vino affinchè le anime siano avvolte dalla dimenticanza del sonno eterno. Ma il totale rovesciamento del mito ha luogo con il breve poema “Persefone” di Ritsos:[55] Persefone, non  è più la divina fanciulla “dalle sottili caviglie,” ma una donna stanca, “come se fosse malata, come se uno strato d’ ombra le coprisse ancora il volto e le mani;”  ogni estate ritorna dal paese straniero e oscuro alla grande casa paterna e narra all’ amica Ciane, che, ogni tanto, le bagna la fronte con un fazzoletto,  gli eventi dolorosi che l’ hanno coinvolta: rapita da un servo che indossa i pantaloni  smessi  dello zio, Persefone accetta il suo destino: “Chi dispone di me?/Lui? Il suo cane?Mia madre?Ciascuno/ per un suo intento che mi riguarda e che io ignoro;” ormai  non ama più  la luce, il mare scintillante, la vitalità della natura;: “Chiudi le tende, dunque . Non resisto quassù/Questa luce mi trafigge con migliaia di aghi,/m’ acceca. Non la sopporto. Tirale, ti dico, quelle tende[56].
Tutto appare un inganno, destinato a svaporare  nel nulla.  
   
                                 CONCLUSIONE

Le molteplici interpretazioni del mito non ne colgono compiutamente il senso: Il mito, infatti,  è in intimo rapporto con il religioso. Nei santuari  eretti  in  onore di Demetra e Persefone a Eleusi, in Grecia e in tutta la Magna Grecia venivano celebrati, in età arcaica, riti agrari e, successivamente, i riti di iniziazione per purificare l’ anima affinchè, dopo la morte, fosse accolta tra i beati.
I rituali misterici  comprendevano: le formule sacre, i giuramenti e, probabilmente, la rappresentazione drammatica delle vicende delle due Dee, l’ uso di oggetti sacri e di corone di mirto (e forse di narciso in ricordo del ratto di Persefone). Essere iniziati significa che, attraverso la contemplazione e l’ ascesa mistica, si raggiungeva   la “rivelazione” della divinità; tale esperienza del sacro  non poteva essere espressa con parole, ma veniva vissuta da ogni persona nella propria interiorità.
Il senso dei miti, pertanto, può essere colto solo all’interno di un’esperienza religiosa; anzi si può affermare che tutte le religioni hanno un fondamento mitico; il mito è vero, non nel senso che può essere scientificamente provato, ma in quanto si riferisce al “divino” ed implica un rapporto tra l’ uomo e la divinità [57].
“O buoni Dei, chi non vi sa è un povero,
ed il suo cuore grezzo non riposa
dalla discordia, il mondo a lui è notte
e non gli cresce il canto né la gioia.

Solo la vostra eterna giovinezza
In chi vi ama nutre il sentimento
Dell’ infanzia, né mai lasciate al genio umano
Il lutto dell’ angoscia e dell’ errore.”[58]
                       Holderlin, Gli Dei, in Liriche, Adelphi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                








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NOTE
[1] Puech, Storia delle religioni,vol.1, Laterza,  p. 386.
[2] Il mito di Demetra e Persefone è, forse, originario dell’ area medio-orientali ed è connesso al mito della Grande Madre Cibele; Demetra, ipostasi dell’ antica dea Madre è simile a Cibele.    
[3] Esiodo, Teogonia, Mondadori, 2007, vv. 453-454.
[4] Esiodo, ib. vv. 912-913.
[5] Esiodo, ib., vv.912-913.\
[6] Esiodo, ib., vv 969-971
[7] E’ interessante  questa indicazione:Demetra genera Pluto che nasce a Creta e che va sulla terra e sul vasto dorso del mare e fa arricchire  chi si dedica al commercio; ciò significa che per Esiodo fonte di ricchezza non è solo l’ agricoltura,  ma anche il commercio marittimo.
[8] Esiodo, ib., vv. 767-774.
[9] S.Volcan, Nike, Edizione 2019,  p. 71.
[10] Persefone variazioni sul mito, a cura di R.Deidier, Ed. Marsilio2010, p. 179-180..
[11] Omero, Inno a Demetra, in Persefone variazioni sul mito, a cura di R. Deider, p., 37.
[12] Il  narciso ha un odore intenso che provoca stordimento deriva dal verbo narkoin  che significa intorpidire-stordire, la radice del nome rimanda, quindi, ad un significato di morte. Il narciso viene fatto spuntare dalla terra  per ingannare Persefone e fare spalancare la terra per consentire al cocchio di Ade di uscire. 
[13] Inno a Demetra in Persefone variazioni sul mito a curadi R. Deidier, Marsilio, 2010, p., 37 
[14] Inno a Demetra. Ib., p.38. 
[15] Omero, Inno a Demetra, ib., p. 38.
[16] Omero, Inno a Demetra, p. 40
[17] Inno a Demetra, in Persefone variazioni sul mito, a cura di R. Deidier, Marsilio,2014, p. 44.
[18] Inno omerico, p., 46.
[19] Il melograno è simbolo di fecondità, ma anche di rinascita, quindi dell’ alternarsi di vita e morte,di tenebre e luce 
[20] nno omerico, ib., p. 48.
[21] Inno omerico, ib. p. 48.
[22] Il tema dell’ unione dei contrari e quello del tempo emergono, quali problemi filosofici, in Anassimandro che, nel frammento rimastoci, afferma che gli esseri hanno origine dall’ infinito ed ivi hanno la loro distruzione secondo “l’ ordine del tempo:” le cose, cioè, sono inserite all’ interno di un ordine temporale che si contrappone all’ eternità dell’ apeiron. Pertanto, secondo Anassimandro l’alternanza è fondamentale, nessun contrario può diventare assoluto, perché in quel caso anche l’ altro sarebbe eliminato (quindi vita e morte sono inscindibilmente unite). Tutto ciò che è finito, in quanto inserito in una dimensione temporale, è destinato ad essere distrutto secondo un dinamismo cosmico che obbedisce a leggi universali         
[23] Dante, Divina Commedia, Purgatorio, canto XXVIII, vv30-51 
[24] A Enna c’ era un tempio dedicato a Demetra ed a Persefone, gli scavi recenti hanno portato alla luce una    grande sala utilizzata, forse, durante i riti, di un pozzo sacro e numerose edicole votive alcune di forma rettangolare, altre sormontate da elementi decorativi; anche a Morgantina si trova un tempio dedicato alle  dee, si tratta di un santuario a “cortile”; nel cortile settentrionale si trovano due bacini lustrali, mentre in quello  meridionale  vi sono tre altari ed un sacello; nella soglia dell’ esedra a est si trova un altare a pozzo nell’ angolo a sud-ovest, uno presso la soglia dell’ esedra ed un sesto nell’ esedra stessa. In  uno degli altari sono state rinvenute sei tabelle dove erano indicate le divinità.       
[25] Ovidio Il rapimento di Proserpina, Metamorfosi, in Persefone variazioni sul mito, a cura di R.Deidier, Marsilio, 2014 p.,  54-55
[26] Inno a Demetra, ib., p.47.
[27] Inno a Demetra ib., p. 44
[28] G. Zanetto, Inni Omerici, B.U.R., 1996, p.22
[29] Bevanda che si otteneva mescolando acqua,farina di orzo e menta. Quando Demetra,piena di angoscia, disperata, va alla ricerca della figlia rapita e  giunge alla palazzo dove abitava Celeo, viene accolta dalla moglie Metanira che le offre una coppa di vino, ma Demetra rifiuta,poiché non le era consentito bere il rosso vino e, per dissetarsi chiede una miscela di acqua. farina d’ orzo e menta. Nel rituale eleusino, allude ad un’  immedesimazione dell’ iniziato con la dea.  
[30] Thurii (latino Thurium) città della Magna Grecia situata vicino a Sibari.
[31] Pelinna centro della Tessaglia; vi sono state rinvenute delle lamine d’ oro poste in bocca, in mano o sul petto del defunto; sulla  laminetta era scritto ciò che l’ iniziato doveva fare durante il viaggio nell’ oltretomba e delle invocazioni   alle divinità degli inferi: Pugliese Carratelli ha dimostrato  che le laminette di Pentelia, Hipponion  Pharsalos  devono essere collegate all’ orfismo, mentre m quelle di Thurii, ritrovate in due tumuli, secondo il Carratelli , possiedono anche elementi relativi ai misteri eleusini, inoltre a differenza quelle di Pentelia, di Hipponion e di Pharsalos l’anima si rivolge a Persefone e non ai custodi  del lago di Mnemosyne, la dea che presiede alla memoria che presiede. 
[32] G. P. Carratelli, Le lamine d’ oro orfiche, Adelphi, 2011, p., 100.
[33] G. P. Carratelli, ib., p. 103 - 112 – 114 – 116.
[34] G. P. Carratelli, ib., p. 112.
[35] G. P. Carratelli, ib., 102.     
[36] G.. Vico, La Scienza Nuova, Bompiani
[37] Presso i Sumeri era venerata la dea Ishtar , come dea della vita, della fecondità, della vegetazione; centro del  culto     era la città di Uruk, dove sorgeva  un tempio famoso dedicato alla dea; mentre Ishtar regnava in cielo, la sorella Erehkigal era regina degli Inferi. In una “plaque,”  che risale al periodo paleo-babilonese,(II millennio a.C. – regno di Hammurabi) è raffigurata, presumibilmente, la dea Ishtar , secondo altri studiosi si tratta della sorella, oppure  nella figura sono presenti gli attributi delle due dee: le curve armoniose e voluttuose della  dea Ishtar , la fissità dello sguardo e la posizione frontale si possono riferire alla dea Erehkigal che, in modo implacabile decide il destino ultimo  dell’  uomo. Le forme voluttuose  e  la presenza di due leoni su  uno dei quali la dea poggia i piedi, si riferiscono alla dea della vita e della fecondità, mentre le ali pendenti e  i gufi, uccelli della notte, sono legati alla morte. La Dea è rappresentata nuda, i capelli sono acconciati a formare una tiara sormontata da un disco; indossa unicamente dei gioielli: una collana a più cerchi e vari braccialetti; nelle mani aperte ha i simboli della sovranità: l’anello ed il cerchio; grandi ali con le piume verticali, sono attaccate alle spalle e pendono dai lati, le gambe terminano con degli artigli che ricordano quelli di un  uccello predatore.Culti simili a quelli della Dea Ishtar si diffusero tra gli Ittiti (la dea era onorata con il nome di Shaushga), tra i Fenici (Atasar) 42 G. P.  Carratelli, op. cit. p.116 .

[38] Le due divinità: Madre e figlia sono strettamente inter-connesse significare che vita e morte non possono essere disgiunte. Persefone può lasciare le tenebre degli inferi e tornare dalla Madre, ascendere all’ Olimpo insieme agli altri dei
[39] J. J. Bachofen, Il Matriarcato, Einaudi, 1988,vol. I, p. 7.
[40] J. J.Bachofen, ib., p. 823- 824.
[41] J.J. Bachofen, ib., p., 12
[42] JU. Bachofen, ib., p. 70.
[43] A. Vitolo, prefazione a  G. Jung, L’ archetipo della madre, Boringhieri, 2011, p.8.
[44] G. Jung,  Gli archetipi e l’ inconscio collettivo –  Simbolo della trasformazione,   Boringhieri 
[45] G,. Jung, Gli archetipi e l’ inconscio collettivo,  Bollati Boringhieri, 2011, p., 179
[46] G: Jung, ib., p. 197.
[47] F.Leigton, nato a Scarborough  nel 1830, morto a Londra nel 1896, compose quadri a soggetto storico, biblico e mitologico; appartiene alla corrente  dei pittori preraffaelliti.
[48] Per un’ indagine a livello psicoanalitico del rapporto madre figlia vedi L. Ravasi Bellocchio, Di madre in figlia, Mondadori, 2012, pp  159177; l’  autrice pone una distinzione tra “materno” e “femminile”  entrambi  presenti quali archetipi a livello dell’ inconscio ed analizza la difficoltà di conseguire un equilibrio tra femminile e materno . 
       Jung nell’ opera Gli archetipi e l’ inconscio collettivo sostiene che Demetra e Core integrano la coscienza femminile”, pertanto ogni donna comprende in sé la madre e la figlia; pp. 182-183 

[49] G. Jung. K. Kerènyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Bollati Boringhieri, 2007, p., 224-225.
[50] G. Jung, ib. p., 248.
[51] Ovidio, Il rapimento di Proserpina, in Persefone variazioni sul mito a cura di R. Deidier, Marsilio, 2010, p., 56
[52] Go
9ethe, Proserpina in Persefone variazioni sul mito, a cura di R.Deidier, Marsilio, 2010, pp., 137-146. 
[53] Goethe, ib. p. 144
[54] Goethe durante  il Grand Tour in Italia, si recò in Sicilia(due aprile-13 maggio 17879), soggiornò  per circa quindici giorni a Palermo, quindi visitò alcuni centri: Segesta, Alcamo,Castelvetrano, Girgenti, Caltanisetta,Catania, Taormina, Messina ); nel suo diario Goethe descrive in modo dettagliato il tempio di Segesta e quelli  di Girgenti evidenziando la maestosità delle costruzioni; mentre ha parole aspre per il  breve soggiorno a Enna:”L’ antica Enna ci riservò la più sgradevole delle accoglienze:una stanza ammattonata, con imposte m a senza finestre, sicchè dovemmo scegliere tra restarcene seduti al buio o esporci di nuovo ai piovaschi cui eravamo appena sfuggiti. Dopo aver passato una nottataccia, giurammo solennemente che mai più avremmo mutato itinerario per inseguire il miraggio d’ un nome mitologico” (Viaggio in Italia, p., 317); pertanto egli non visitò i resti dei templi dedicati a Demetra ed aPersefone pur avendo contemplato i doni della dea, attraversando la distesa dei  i campi tra Girgenti e Caltanisetta tutti coltivati a grano e orzo:  “una massa di fecondità ininterrotta” (Viaggio in Italia, p. 212)   
[55] G, Ritsos, Persefone, in Persefone variazioni sul mito, a cura di R.Deidier, Marsilio,2010, p., 163-178.
[56] Ritsos, in Persefone variazioni sul mito, p. 178
[57] W.F.Otto     
[58] Holderlin, Gli Dei, in Le liriche, Adelphi, 2008, p., 328.